WARRIOR: impressioni sull’inizio della serie (NO SPOILER)
Di solito è vero: così come non va giudicato un libro dalla copertina, non si può esprimere un’opinione su una serie che non è ancora neanche arrivata a metà del suo percorso.
Tuttavia, le prime puntate della serie Warrior forniscono già abbastanza spunti per poterla analizzare e comprenderne il suo valore.
In onda dal 15 luglio su Sky Atlantic e arrivata al quarto di dieci episodi (i prossimi due in programmazione per il 29 luglio).
Warrior è un action-drama tratto dagli scritti del celebre Bruce Lee, ritrovati dalla figlia Shannon dopo la sua morte.
TRAMA E SENSAZIONI
La trama iniziale è piuttosto semplice e lineare.
Ah Sahm (Andrew Koji, Fast and Furious 6), giovane cinese con una suprema padronanza delle arti marziali, sbarca nella California di fine 1800, per la precisione a San Francisco, con l’intento di ritrovare una determinata persona. Si unirà ben presto a una delle più importanti Tong di Chinatown, in procinto di scatenare una guerra contro i quartieri rivali.
Accanto a questa si sviluppano altre vicende parallele, riguardanti poliziotti, governatori e fazioni nemiche a quella del protagonista, che trasformano la trama in un intreccio di storie ovviamente destinate a unirsi.
Il tutto dentro una scenografia evocativa e degna dei migliori film di genere.
Per alcune somiglianze di ambientazione, sembra di essere catapultati a Little Italy. Quasi ci si aspetta che salti fuori Don Vito Corleone a comprare le arance, invece ci troviamo nell’altro capo degli Stati Uniti e in anticipo di almeno 40 anni.
Ma l’atmosfera è simile ed è il secondo maggior punto di forza della serie.
Qual è il primo?
LA SCUOLA DI BRUCE LEE
Ovviamente, per una serie che si chiama Warrior, non potevano passare in secondo piano le scene di lotta.
In pieno stile orientale, i combattimenti sono ripresi e montati con virtuosismi e inquadrature serrate. Anche se a volte la durata degli scontri supera la manciata di minuti, essi non risultano mai noiosi o ripetitivi. Inoltre, non sono mai “fuori posto”, ma sempre ben collegati e funzionali allo sviluppo della storia.
È questo il principale pregio della serie, che riesce riportare in auge un genere praticamente sparito come quello delle arti marziali, riuscendo a inserirle in un contesto atipico senza però perdere di credibilità.
DOPPIATORI O SOTTOTITOLI?
Warrior è una serie americana, e come tale doveva essere recitata in lingua inglese. Il soggetto però è orientale, e così come i lineamenti anche il linguaggio doveva rispettare le regole non scritte della coerenza televisiva.
Un problema magari sottovalutato, ma di fondamentale importanza per non storpiare il prodotto finale.
È evidente che non si poteva girare tutto in inglese visto che lo spettatore deve differenziare quando i cinesi parlano tra loro e quando invece dialogano con i poliziotti americani.
Visto che i dialoghi sono numerosi e di difficile rappresentazione, la soluzione (per me perfetta) è stata quella di aprire la stagione con i sottotitoli e la lingua madre di ogni personaggio, per poi abbandonarli e trasformare con un movimento della macchina da presa il dialogo completamente in lingua inglese (e italiana per noi).
Una trovata magari semplice, ma non banale.
Warrior, al momento, è questo.
L’inizio è stato promettente, la serie coinvolge e le scene di combattimento sono un plus per gli amanti del genere. Per dare una sentenza definitiva probabilmente è ancora presto visto che mancano sei puntate, ma le fondamenta per ritenerla un buon prodotto di intrattenimento sono già sotto gli occhi di tutti.