American Psycho e quella critica sociale sempre attuale
Agli albori del 2000, American Psycho divise critica e pubblico. Un film che, nel momento della sua uscita, forse non fu apprezzato come avrebbe dovuto e/o voluto. Eppure, quasi 23 anni dopo, la pellicola che ha Christian Bale come protagonista sta vivendo una seconda giovinezza.
La critica sociale espressa dalla regista Mary Harron oggi è più attuale che mai. E riesce a riflettere il marcio di una società che, con il passare inesorabile del tempo, non è riuscita a migliorarsi ma piuttosto è peggiorata.
Oggi andremo a scoprire il messaggio del film, perciò fate attenzione se non l’avete ancora visto. In questo articolo ci SARANNO MOLTI SPOILER, quindi non proseguite la lettura oltre questo punto.
La critica sociale di American Psycho
Chi è Patrick Bateman?
Attorno a questa domanda ruota tutta la trama di American Psycho. Non perché il personaggio, intrepretato da Christian Bale, sia misterioso o sfuggente, quanto piuttosto perché è funzionale alla critica sociale mossa dalla pellicola.
Infatti, quasi tutti gli altri personaggi secondari, non sapranno mai chi è realmente Patrick Bateman. Nonostante egli sia un serial killer conclamato, talmente lucido da confessare i suoi misfatti, i suoi amici e colleghi faticheranno a riconoscerlo.
Più volte durante il film i colleghi lo scambieranno per qualcun altro, infondendo allo spettatore un forte senso di straniamento. Questo succede non perché gli altri personaggi abbiano qualche tipo di perdita di memoria a breve termine, ma perché in realtà a nessuno importa di Patrick Bateman. A nessuno importa di nessuno, se non di se stessi.
La pellicola, infatti, fa un focus piuttosto esplicito sull’individualismo e sui problemi frivoli dell’alta della New York degli anni ’80 (emblematica la scena in cui i dipendenti dell’azienda mostrano i loro bigliettini da visita e su tutti viene riportata la scritta “vice-presidente”). Bateman è una persona profondamente disturbata, ma nessuno sembra notarlo. Il suo aspetto, la sua immagine pulita e curata riescono a distogliere l’attenzione da una personalità violenta, pericolosa ed assassina.
Il ruolo del serial killer
A questo viene naturale pensare che la figura da serial killer di Bateman sia solo un pretesto, utile al regista per mostrare con forza quanto la società di Wall Street fosse e sia individualista.
Quando il personaggio interpretato da Christian Bale uccide uno dei suoi colleghi (Paul Allen interpretato da Jared Leto), nessuno ha sospetti su di lui. Anzi, gli viene addirittura attributo un alibi fasullo. Infatti, secondo alcuni amici, Bateman sarebbe stato presente ad una festa la sera in cui Allen è scomparso. Ma lo spettatore sa che non è così, in quanto ha visto la scena in cui i due erano a cena insieme.
Ma questo alibi perché viene inconsciamente creato? Perché nessuno sa chi è realmente Patrick Bateman! All’interno di quella società sono tutti uguali. Delle figurine create ad hoc per rappresentare un’immagine preconfezionata, che non si scosta mai dal mero giudizio superficiale dell’immagine e dell’aspetto.
Per questo nessuno conosce realmente Bateman. Per questo tutti continuano a scambiare la sua identità con quella di qualcun altro. E non solo la sua, ma anche quella degli altri.
Ed allora che senso ha il finale?
Durante le sequenze finali lo spettatore è portato a pensare che, in un modo o nell’altro, quanto visto fino a quel momento sia stato frutto soltanto della mente disturbata di Bateman. Nessuno, infatti, ha creduto alla confessione fatta dallo stesso serial killer al suo avvocato. Egli derubrica il tutto alla stregua di un banale scherzo, dimostrando anche di non conoscere l’identità del suo assistito e di tutte le altre persone che gli stanno attorno. Il monologo di Bateman spiega con chiarezza quanto stiamo dicendo:
“Non ci sono più barriere da attraversare. Tutto ciò che ho in comune con l’incontrollabile e la follia, la depravazione e il male, tutte le mutilazioni che ho causato e la mia totale indifferenza verso di esse; tutto questo ora l’ho superato. La mia pena è costante e affilata, e io non spero per nessuno un mondo migliore, anzi voglio che la mia pena sia inflitta agli altri, voglio che nessuno possa sfuggire. Ma anche dopo aver ammesso questo non c’è catarsi: la mia punizione continua a eludermi, e io non giungo a una più profonda conoscenza di me stesso. Nessuna nuova conoscenza si può estrarre dalle mie parole. Questa confessione non ha nessun significato.”
“La mia punizione continua ad eludermi”, non c’è frase più rappresentativa di questa per capire il finale di American Psycho. Per quanto Patrick Bateman abbia perso di vista il confine tra realtà e finzione, intriso nel delirio onnipotente della sua follia, sa che lui ha commesso realmente quegli omicidi. Non è stata una finzione. Ed al contempo sa bene che la farà sempre franca, perché nessuno sa chi è Patrick Bateman. Potrà assumere milioni di identità diverse rimanendo sempre se stesso, perché tanto le persone saranno sempre impegnate a guardare i loro frivoli problemi e non capiranno mai cosa si cela dietro il suo sorriso e la sua immagine scolpita.
Una critica sociale fortissima, che nel 2000 fu poco apprezzata o capita. Ma American Psycho è invecchiato fin troppo bene ed ora, nel 2023, riesce ad essere molto più attuale. Perché la nostra società non è cambiata rispetto al 1987, e se lo ha fatto è solo peggiorata. Per quanto molte cose non siano le stesse, l’individualismo regna sovrano. E chissà quanti altri Patrick Bateman ci sono lì fuori, mentre il mondo continua ad ignorarli, chiuso nella propria visione egocentrica.