Le microtransazioni danneggiano il gaming? Si, secondo un ex-Valve..
Sulle pagine di “TheWeek.com” appare uno speciale dal titolo inequivocabile “Il Capitalismo ha ucciso le migliori case di produzione di videogames” che contiene, tra i commenti ad esso, anche la dichiarazione di un ex dipendente Valve.
Il modo di videogiocare è cambiato moltissimo negli ultimi 30 anni; essendo nato a metà anni 80, ad esempio, ho potuto constatare personalmente come l’evoluzione dei videogames abbia avuto una curva incredibile per tutti gli anni ‘90 e parte dei primi anni del nuovo millennio, per poi spostare la maggior parte delle innovazioni in quelli che ora vengono defniti “Gaming Services”.
In quest’ottica si inserisce anche il percorso di Valve Corp, software house nata a metà anni ’90 da due ex dipendenti Microsoft, Gabe Newell e Mike Harrington e divenuta famosa pochi anni dopo per i capolavori Half Life, Team Fortress e Counter Strike.F
Nonostante non smettessero di pubblicare delle pietre miliari del gaming (Half Life 2 e Portal sono esempi recenti entrati nella storia dei videogames) il punto di svolta della società fu l’intuizione di creare una piattaforma di distribuzione digitale, Steam.
Tale piattaforma ha visto un costante aumento di utenti con i quasi 90 milioni di utenti attivi nell’ultimo anno ed è possibile constatare con mano come il miglioramento dei servizi offerti all’utente sia stato costante e continuo ed ha ben superato il mero “digital content delivery” del lancio.
Una delle features che più si criticano a questa piattaforma è stata quella di supportare apertamente le cosiddette “microtransazioni”, ovvero la possibilità per l’utente di acquistare contenuti in gioco per valuta reale.
I dati di guadagno di Steam pubblicati mostrano incassi per 4 miliardi di dollari nel 2017, ma si riferiscono solo alle “royalties” di pubblicazione sulla piattaforma; non sono presenti invece i dati riferiti alle microtransazioni che, secondo gli analisti, potrebbero essere perfino superiori.Grafico Microtransazioni
Le microtransazioni sono oggettivamente un problema, e secondo la ricerca del sito “Venturebeat” trasformano parte degli utenti in quelli che vengono definite “Game Whales” (letteralmente balene, per via del loro portafoglio ndr) capaci di spendere, in modo compulsivo, anche centinaia di dollari/euro alla settimana.
Tornando a Valve, la cosa che lascia l’amaro in bocca è che abbia preferito creare un gioco come Artifact, che ha nelle microtransazioni il suo “core business”, piuttosto che tornare a sviluppare giochi attesi e richiesti come il terzo episodio di Half Life.
La scelta è chiaramente di natura economica ed è qui che si inserisce l’intervento dell’ex dipendente Valve a commento dell’articolo di TheWeek.
“Potrei scrivere un libro contenente tutte le cose accadute in Valve negli anni trascorsi li”
Ex Dipendente Valve (reddit)
Il focus della sua dichiarazione è quando dice che “un personaggio molto importante in Valve disse che non avrebbero mai più fatto giochi singleplayer perché non sono “worth”; Portal 2, ad esempio, ha incassato “soltanto” 200milioni di dollari di profitti e questo risultato non è ritenuto sufficiente, paragonato alle centinaia di milioni di dollari che si possono fare soltanto vendendo skin di magliette, di cappellini o di armi in un qualsiasi videogioco su Steam”.
Questa dichiarazione, che diamo per vera sia perchè plausibile sia perché davvero coerente col comportamento tenuto da Valve (e da molte altre case di produzione ndr), fa davvero rabbrividire perché dimostra come il settore dei videogames si stia davvero ammalando di quella malattia che ormai ha infettato il mondo intero : il capitalismo.
E purtroppo, in questi frangenti, mi viene da pensare a tutti i bei momenti passati grazie all’industria dei videogames e spero che si ritorni al punto in cui le case produttrici pensino più al prodotto e agli utenti che al loro, già grosso e spesso, portafoglio.