Le Storie inedite della Locanda: Un Mondo Selvaggio (Cap. 5)
Ben ritrovati, assidui frequentatori della Locanda più celebre sulla faccia del Pianeta.
Rieccoci con l’ormai consueto appuntamento con il mitico racconto ideato dal membro della nostra community di Hearthstone Emiliano Casali ed edito interamente dalla nostra piattaforma.
Sappiamo che ormai ogni introduzione o convenevole risulterebbe superfluo, quindi, senza ulteriori indugi, vi auguriamo una buona lettura.
Prima di proseguire però, ricordiamo a tutti quanti che per leggere i precedenti capitoli della storia vi basterà cliccare qui: Le Storie Inedite della Locanda, capitoli 1-2-3-4.
Capitolo 5 – Il linguaggio della speranza
“Caro Harrison,
la passione che provi per me non è Amore ma bramosia, quella stessa che ti fa rincorrere i tuoi tesori in giro per il mondo. Qui invece non c’è nulla da trafugare e nulla da scoprire. L’Amore è una stella che brilla nella notte tracciando un percorso e tu non sei pronto ad inseguire una rotta. Tu vuoi solo viaggiare verso strade inesplorate ed è per questo che non hai ancora compreso cosa provi veramente. Io parto con Reno per Zul’farak , è meglio che per un po’ stiamo lontani.
Sempre tua. Elise”
Parole scritte su una pergamena piegata e riposta sotto la camicia, indossata da Harrison Jones come un’armatura posta altezza del cuore poiché nulla avrebbe potuto ferirlo tanto quanto il suo contenuto. Nel giorno in cui sarebbe morto, l’unico suo pensiero era volto ad Elise. Quell’insolenza che poco prima gli aveva dipinto un sorriso sul volto ora si era trasformata in rimpianto e gli schiacciava il petto come un macigno.
Lo Jormungar entrò nel Thunderdrome accompagnato dal boato della folla e preceduto da un domabestie Trogg. Era un mostro imponente, strisciante ed emanava un odore simile a quello di un cavallo in decomposizione. Alto fino al terzo anello, con le sue fauci avrebbe potuto divorarli tutti in un attimo.
La rabbia e il rimorso si stavano facendo strada nell’esploratore quando, all’improvviso, un suono simile ad un ronzio prese forma. L’etereo che prima sembrava imperturbabile ora s’era animato di una forza misteriosa: le sue bende fremevano e la sua lancia rifulgeva di una luce cobalto. La sua voce dapprima monotona si fece profonda, rauca tanto da non sembrar una sola. Harrison aveva già visto quella condizione, sapeva che si trattava dell’ Ispirazione. Era caratteristica di coloro che, guidati da un credo, si lasciavano trasportare dal potere della fede. Nonostante questo non aveva mai sentito tanta forza scaturire da quello stato meditativo. La voce di Saraad cambiò nuovamente e il suo aspetto, seppur meno inquieto, era ancora alterato.
“Parola d’Ombra: Morte!”
Pronunciate tali parole in una forma e linguaggio inusuali, emanò dalla lancia un vortice oscuro che avvolse l’enorme creatura. Tutto durò un istante e lo Jormungar cadde a terra esanime lasciando il domabestie interdetto. Gli spettatori erano in delirio, tra gli spalti non c’era astante che non gridasse, incitasse o imprecasse contro il Campione. Harrison, vedendo la scena, si scagliò contro il domabestie con la forza della rabbia e iniziò a colpirlo senza sosta frantumandosi le nocche delle mani e incassando diversi colpi di rimando. Il pubblico, in principio esaltato da tanta azione, comprese che tutto stava finendo troppo presto.
Lo stesso sindaco Noggenfogger, guardando la scena, aveva capito che quel vortice oscuro non aveva solo decretato la fine dello Jormungar ma anche del suo costoso spettacolo. Harrison era in piedi con un braccio evidentemente rotto, ansimante conquistava il centro dell’arena. Saraad ritornò nella sua posizione di guardia brandendo la lancia con la mano destra. “Dannato di un etereo! Parli la lingua dei preti?”, l’etereo guardò Harrison Jones “Saraad non parla. Saraad ascolta. Nulla è certo per Saraad. Solo il Nexus lo è.”.
Non comprendendo a pieno le parole, Jones iniziò a guardarsi intorno, notando che quello che sembrava un pubblico eccitato stava iniziando a diventare una folla inferocita.
I cancelli si stavano aprendo di nuovo, il sindaco aveva dato ordine di liberare dei Wolfriders: guerrieri addestrati alla morte, pronti a schiantarsi contro il nemico con il solo scopo di ucciderlo. L’ululato dei lupi arrivò alle orecchie dell’esploratore. Sapeva che non sarebbe sopravvissuto nelle sue condizioni, neanche Saraad avrebbe fatto in tempo a salvarlo questa volta. La fine era certa.
Gli spettatori oramai s’erano tramutati in una massa incontenibile, alcuni esaltati dal vino e dalle pozioni cercavano di scavalcare le balaustre per compiere un linciaggio, altri lanciavano rifiuti e oggetti colpendo le guardie a difesa degli accessi agli anelli superiori. Il caos aveva preso il sopravvento rendendo difficile alla sicurezza gestire i piani bassi. Nella ressa nessuno aveva notato un gruppo di goblin, compatti uno vicino all’altro, che difendevano dagli scossoni il loro leader impegnato a trascinare due enormi sacche. “Non ci sarà momento migliore, fate come abbiamo stabilito! “ detto questo, il gruppo si disperse nella folla iniziando ad agire come gli era stato ordinato.
Il boato di un’esplosione colse tutti di sorpresa: un Mad Bomber si era lanciato dalla balaustra sopra il cancello dei Cavalcalupi facendolo saltare con alcune granate.
Altri goblin, armati fino ai denti, iniziarono a proiettare ordigni in mezzo alla folla, agitavano candelotti con noncuranza e alla fine, ferendo perfino loro stessi, riuscirono a bloccare gli accessi ai piani superiori rallentando così i rinforzi. Il capo infine si lanciò anche lui al centro dell’arena, dalle sue pesanti bisacce si liberarono due robobombe grandi quanto un Cinghiale Scagliadura.
I due Cavalcalupi in carica, superato il Mad Bomber, si trovarono di fronte gli ordigni e vi si gettarono a capofitto, il frastuono fu tale che fece tremare il Thunderdrome. I due cavalieri, nella loro idiozia, avevano innescato quei congegni facendoli esplodere contemporaneamente. Parte del muro di cinta venne distrutto, polvere e fumo riempivano gradualmente l’arena. Come la spuma in un boccale il pulviscolo risaliva gli spalti saturando l’aria e offuscando la vista.
Il caos della folla si trasformò velocemente in panico, oramai la sicurezza aveva perso il controllo e il capo dei goblin raggiunse Harrison e Saraad “Venite con me, vi stiamo salvando!“, dicendo questo indicò l’accesso da cui avevano raggiunto la fossa. Harrison saltò in groppa al dromedario e i due, senza indugi, cavalcarono verso la via di fuga.
L’Ogre Rocciadura e il Portascudi erano distesi in terra morti, così come altre guardie.
I grandi corridoi del Thunderdrome, percorribili a cavallo, offrivano ospitalità a molti animali, alcuni dei quali utilizzati come pasto per le cavalcature dei guerrieri. La struttura quindi ospitava un vero e proprio mattatoio al suo interno dove pecore, bovini e Galline arrabbiate attendevano il loro destino. Quel luogo era l’unico oltre l’ingresso principale ad avere un accesso verso l’esterno ma i suoi cancelli erano alti e pesanti, frutto del lavoro di un fabbro arcano. Tutti sapevano che valicarli senza la chiave era impossibile.
Il Goblin fece segno di arrestarsi. Harrison e Saraad obbedirono, rimanendo sorpresi di come quell’essere avesse tenuto il passo del dromedario correndo di fianco a loro ma, soprattutto, di come la strada per giungere fino a li fosse risultata sgombra e priva di controlli. “Siamo arrivati finalmente!“ esclamò il pelleverde, Saraad fermò di colpo la sua bestia per poi scrutare il circostante “Saraad vede solo pecore“. Harrison smontando dalla cavalcatura incalzò: “Ha ragione l’etereo, qui ci sono solo pecore e galline!”.
Mentre avveniva questa conversazione il Goblin era intento ad infilare le dita nel naso degli ovini premendo con forza “Non speravamo che le cose sarebbero andate così bene e avevamo preparato un piano d’emergenza, in ogni caso ci torneranno utili”. Solo ora Harrison aveva notato che le pecore toccate dal goblin avevano preso a belare in modo meccanico, i loro occhi erano diventati rossi e i loro movimenti si erano fatti scattosi e innaturali “Queste non sono pecore!”, il Goblin rispose con tono stizzito “Sono Pecore Esplosive di Gnomeregan, confonderle con quelle vere non è difficile, abbiamo poco tempo fatevi da parte.“ La conversazione durò pochi istanti mentre le pecore meccaniche iniziarono a disporsi in fila puntando gli enormi cancelli.
Harrison spinse con forza il dromedario con la schiena, tentando di farlo indietreggiare “Ma tu…tu chi sei ?”, il Goblin, intento ad attivare le pecore, si volse verso Harrison “ Mi chiamo Sparky Uberthruster ma tu puoi chiamarmi… Dr. Boom!”.
Non appena finita la frase gli ovini robotici caricarono il cancello esplodendo in un fragore tale da far tremare la terra e il soffitto. La luce filtrava dall’esterno trapassando il fumo come impalpabili frecce. I cancelli erano in parte ancora in piedi ma le mura si erano sgretolate creando un’apertura verso l’esterno, grande abbastanza per il passaggio dei tre. Quel giorno Harrison Jones era stato incatenato, aveva conosciuto un essere mistico, era scampato alla morte ben due volte, si era rotto un braccio ed era stato salvato da un misterioso goblin armato di Pecore Esplosive, eppure in quel momento, l’unico suo pensiero, era rivolto ad una persona di cui aveva perso le tracce. “Elise, sto venendo a cercarti… ” ripetè tra sé e sé prima di attraversare il varco tra le macerie.
Elise Cercastelle si sentiva frastornata dal continuo oscillare di quel vascello. Legata nella stiva da giorni, oramai si era rassegnata all’oscurità e alla fame. Dov’era attraccata la nave? Come era arrivata fino a lì? Dov’era Reno Jackson? Domande che vorticavano nella sua testa insieme all’immagine confusa di un drago dalle fattezze antropomorfe. Non sapeva realmente cosa avesse visto, ma sapeva che solo un uomo in quel momento avrebbe potuto salvarla, un uomo che tanto aveva biasimato per la sua caparbietà e che ora sperava non avesse abbandonato i suoi propositi.
“Harrison..aiu…” riuscì a scandire debolmente mentre un colpo le raggiunse la nuca facendole perdere di nuovo i sensi.
Racconto scritto e ideato da Emiliano Casali (battletag #Powathan2954)
Augurandoci che anche questo capitolo del fantastico racconto “Un Mondo Selvaggio” vi abbia appassionato, vi diamo appuntamento alla prossima con il sesto capitolo.