Perché i videogiochi sono così coinvolgenti?
Dagli anni Ottanta ad oggi: dal Commodore alla VR
Fin dai primi Commodore degli anni Ottanta (li ricordate? Commodore 54 e Commodore 128 hanno venduto cica 13 milioni di unità) ai visori per la realtà virtuale degli ultimissimi anni, i videogame hanno sempre saputo raggiungere un’ampia fetta di appassionati.
Una buona parte degli stessi bambini e ragazzini, che oltre quarant’anni fa muovevano i primi passi con tastiera e joystick e davano un importante segnale al mercato del videogioco, sono ancora oggi legatissimi a questa passione e, pur con i limiti imposti dall’età “avanzata” e dai relativi impegni professionali e familiari, appena possono si siedono di fronte al pc o alla console, per trascorrere una o più ore spensierate a giocare.
Cinema e videogiochi, ma non solo
Nel frattempo, il mercato dei videogame si è adattato alle esigenze e alle richieste del pubblico, proponendo, all’interno del gioco, soggetti e storie estremamente avvincenti, con effetti speciali visivi e sonori di crescente complessità, ma soprattutto legando i giocatori da una generazione all’altra con le saghe dei videogame.
Perché è bello giocare con i videogame?
Effetti grafici, trama avvincente, immedesimazione con il personaggio, studio dei dettagli, psicologia dei personaggi, sensazione di imbattibilità (anche una volta uccisi, si può iniziare da zero, all’infinito), … possono essere elementi sufficienti a spiegare il perché del successo dei videogiochi?
Riescono, queste caratteristiche, a dirci il perché un ragazzo che si segga di fronte ad un video gioco, se non venisse riportato al mondo reale dalla madre che gli intima di spegnere, fare i compiti o andare a tavola, starebbe incollato tutta la notte a giocare?
Decine, centinaia di studi di psicologia del comportamento sono stati pubblicati sull’argomento. E, come era facile immaginare, la conclusione è che non si gioca solo perché i videogame sono belli. C’è molto di più, dietro.
Obiettivi a brevissimo termine mi coinvolgono
Ogni singolo videogame e, a maggior ragione, quelli che fanno parte di una serie, magari con uscite a cadenza annuale, come COD ad esempio (arrivato a quota 22 uscite), sono ritmati da mini obiettivi: il giocatore, per procedere lungo la storia, ha come scopo quello di raggiungere degli orizzonti, non lontani, ma sempre a portata di mano.
Il fatto di realizzare dei piccoli, ma costanti e crescenti progressi, fa sì che il gamer si senta veramente coinvolto e propenso a continuare.
Gioco e ricevo dei feedback
Vi è poi l’elemento del feedback: se in una relazione umana, reale, racconto qualcosa ad una persona tangibile che mi sta di fronte, questa mi “restituisce dei feedback”, ovvero delle reazioni a quello che io sto dicendo.
Può trattarsi di parole o di mimiche facciali, ma in ogni caso io capisco se continuare oppure no e quale effetto io stia producendo.
Nel videogioco si verifica all’incirca lo stesso fenomeno: il passaggio del puntatore del mouse su di un oggetto allo schermo provoca una reazione sonora o grafica; quando il mio personaggio raggiunge un obiettivo (la vetta della montagna, l’altra sponda del lago, …) scoppiano delle grida di esultanza; …
Grazie a questi feedback, io so di avere un effetto, di lasciare un’impronta del mio passaggio nel mondo del videogame e, quindi, sono portato a continuare.
Contro la noia del gioco: le difficoltà crescenti
La difficoltà crescente del gioco è il terzo elemento che spiega il perché del successo del videogame nel tenere incollato allo schermo e alla piattaforma il giocatore.
Se un gioco fosse troppo semplice, diverrebbe presto noioso e sarebbe abbandonato. Se lo stesso gioco fosse troppo complesso sin da subito, molti abbandonerebbero immediatamente o non lo inizierebbero nemmeno.
I videogiochi, però, si caratterizzano per avere una difficoltà crescente: facili al primo step, di livello in livello vedono aumentare i passaggi tecnici, le scelte complesse, la rapidità necessaria delle singole azioni.
Il rinvio al capitolo e alla saga successivi
E poi, alla fine del capitolo, cosa succede? Finisce la storia? Certamente, no! Anzi, proprio come nelle serie TV, alla fine di ogni puntata (o capitolo, nel caso dei videogame), si resta con il fiato sospeso, in attesa di scoprire cosa ci sarà dietro la curva.
E, allo stesso modo, alla fine della serie, il giocatore, proprio come lo spettatore, rimane con un retrogusto di insoddisfazione o di “soddisfazione incompleta” ed è quindi portato ad esplorare la saga o la serie successive.
Grazie al multiplayer posso giocare con chiunque
I giochi multiplayer oggi aggiungono un ulteriore elemento accattivante, grazie alla possibilità di giocare da remoto con persone da tutto il mondo.
Se, negli anni Ottanta e Novanta, multiplayer significava invitare due o tre amici nella propria camera e trascorrere assieme delle ore, oggi questa modalità di gioco ha assunto una dimensione globale.
La globalizzazione del videogame multiplayer avvicina persone che sono agli antipodi del pianeta Terra e che, diversamente non avrebbero mai “interagito”. Perché sempre di interazione si tratta, pur con tutti i limiti del caso: e questi sono davvero tanti!
La polemica sulle loot box
L’uso di soldi veri nei videogiochi, come con le loot box, e in queste app per slot machine recensite qui presenta preoccupazioni simili riguardanti la casualità, la potenziale dipendenza e la spesa eccessiva. Entrambi i sistemi giocano sull’adrenalina generata dall’incertezza di un possibile premio, spingendo gli utenti a spendere di più.
Mentre le slot machine sono regolamentate come giochi d’azzardo e destinate agli adulti, le loot boxes esistono in una zona grigia, con dibattiti in corso sulla loro classificazione. La società potrebbe non vedere la spesa in loot boxes con la stessa gravità della dipendenza da gioco d’azzardo, ma i comportamenti problematici possono essere simili in entrambi i contesti.