L’OMS ha deciso: nel 2018 il “gaming disorder” sarà inserito tra i disturbi mentali da dipendenza
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (da ora in avanti “OMS) i videogiochi possono, potenzialmente, indurre in alcuni soggetti delle manifestazioni di dipendenza molto pericolose e che richiedono l’intervento dedicato di uno specialista.
L’OMS nel 199o stilò all’interno dell’International Classification of Diseases una lista di pericolosi disturbi che, se non curati e combattuti, possono portare a stati di pesante dipendenza un determinato soggetto andando a compromettere il normale sviluppo dell’esistenza dello stesso minando ogni aspetto della vita quotidiana.
Nel 2018 questo ICD sarà, dopo quasi trenta anni, aggiornato e tra i nuovi disturbi da dipendenza ci sarà anche il “Gaming Disorder“, il vivere in modo non sano e “dipendente” la propria attività videoludica.
Ovviamente l’OMS ha anche tenuto a sottolineare, mediante le parole di Vladimir Poznyak (membro del dipartimento di salute mentale), che la stragrande maggioranza dei videogiocatori non ha questo tipo di problema come, utilizzando un parallelismo evidentemente molto efficace, la stragrande maggioranza delle persone che bevono non hanno una dipendenza dall’Alcol.
Secondo una prima ed ancora provvisoria definizione, per l’OMS un videogiocatore inizia a soffrire di una patologia nei confronti dei videogame stessi quando questi prendono il sopravvento sul resto della quotidianità, quando i videogiochi diventano prioritari rispetto anche all’imprescindibile mangiare e/o dormire.
Inoltre, questo genere di distacco dalla realtà sociale di un videogiocatore dovrebbe avere una durata di almeno un anno per essere classificata come un disturbo mentale da dipendenza vero e proprio.
Non si sono fatte di certo attendere le critiche nei confronti di questa decisione di inserimento del Gaming Disorder nella nuova edizione dell’International Classification of Diseases, e molte di queste voci contrarie provengono dal mondo accademico come nel caso di una ricerca condotta da un team di professionisti nell’Università di Cardiff per la quale nel momento in cui si presenta un disturbo da dipendenza all’interno della sfera videoludica di una persona, questo è da ricondurre più ad un’infelicità o ad uno stato di frustrazione maturato all’interno della propria vita sociale e lavorativa che non al videogioco stesso.