Non siamo più vivi: gli zombie in salsa coreana
Nell’ultimo periodo, successivo al fenomeno Squid Game, le serie coreane di Netflix hanno iniziato a vivere un successo inaspettato per molti. Proprio per replicare le gesta dell’opera di Hwang Dong-hyuk, il colosso dello streaming ha deciso di puntare su Non siamo più vivi.
Questo show usa gli zombie come espediente utile ad attirare il pubblico, ma riesce a distaccarsi dagli stilemi classici del genere pur cavalcandoli. Il prodotto risulta infatti molto originale, capace di parlare direttamente con i giovani ed i giovanissimi della generazione Z.
Insomma, sembra che Netflix Korea abbia trovato la formula giusta per riuscire a prendersi una grossa fetta di pubblico pur trattando argomenti delicati in maniera matura.
Non siamo più vivi: la recensione
La trama in breve e senza spoiler
La tranquilla vita di un liceo coreano di Hyosan, in periferia di Seoul, viene bruscamente turbata da una misteriosa epidemia. Il professore Lee, decente di scienze della scuola, ha creato un virus che trasforma le persone in zombie ed un singolo morso ad una singola studentessa è bastato per scatenare il caos.
Un gruppo di studenti appartenenti alla stessa classe cerca di sopravvivere, aspettando dei soccorsi che sembrano non arrivare mai. La loro disperata ricerca della sopravvivenza li porterà a vivere d’espedienti, in una continua lotta tra la vita e la morte.
La vicenda inizia subito dopo la pandemia dovuta al COVID-19 (citato nella serie), quindi molte delle misure di sicurezza vi saranno familiari, così come i termini usati.
I personaggi
Come avete potuto ben leggere dalle poche righe che riassumono la trama di Non siamo più vivi, sembra che abbiamo difronte una banalissima quanto classica serie dedicata agli zombie. Fortunatamente, però, le cose non stanno proprio così.
In questa serie, infatti, non troveremo mai i classici stereotipi dei personaggi invincibili, armati fino ai denti e sprezzanti del pericolo. Qui abbiamo a che fare con dei ragazzini, fragili ed incapaci di razionalizzare correttamente (com’è giusto che sia) cosa sta succedendo intorno a loro.
Già dal primo episodio ci si presenta un quadro abbastanza chiaro dei personaggi, con una narrazione lenta e molto specifica, utile e farci comprendere a pieno la psicologia di questi studenti. Infatti Non siamo più vivi non ha dei personaggi singoli, non ha un eroe principale, ma un gruppo vero e proprio che cresce insieme all’interno di una catastrofe.
Molto spesso abbiamo assistito a delle scelte sbagliate, a delle conversazioni banali che assumono dei toni ancora più grotteschi all’interno dell’epidemia zombi. Ma questo è un fattore determinante per far si che lo spettatore entri in empatia con i personaggi. E’ un espediente utile per entrare nel mondo dei ragazzini che abbiamo davanti.
Per farvi capire cosa stiamo dicendo, sappiate che Non siamo più vivi tratta argomenti delicati come il bullismo o l’amore, tutto questo durante un evento terribile come un’epidemia zombie.
Ritmo della narrazione
Al netto di un primo episodio molto più lento degli altri utile, come detto, per conoscere i personaggi, tutto il resto della vicenda si dipana con un ritmo frenetico ed uno schema ben preciso. Gli eventi non sono quasi mai telefonati e/o prevedibili, ed il tutto è condito con una sana dose di azione, suspense e violenza grezza.
La prima parte della serie (dal primo al sesto episodio) riesce a tenere lo spettatore incollato allo schermo, aiutata da una regia che molto spesso regala delle chicche e da un mistero fitto e continuo. Si ha sempre la voglia di capire cosa stia realmente succedendo e cosa succederà dopo.
Per un pubblico meno avvezzo alle serie provenienti dalla Corea del Sud e dell’Asia in generale, alcune situazioni e dialoghi potrebbero risultare fastidiose. Questo è lo stile che piace al pubblico di quella zona del mondo, perciò cercate di abituarvi se volete approfondire il mondo dei k-drama.
Purtroppo la seconda parte di Non siamo più vivi non riesce ad avere lo stesso mordente della prima, ed i ritmi calano incanalandosi verso un finale non proprio brillantissimo ma molto intimo ed emozionante. La serie termina con un cliffhanger abbastanza grosso, che potrebbe anticipare una seconda stagione in arrivo nel prossimo futuro.
Solitamente, i k-drama classici (quindi escludiamo Squid Game da questo ragionamento), quasi mai si tirano avanti per stagioni successive. Ma visto il successo avuto da questa serie ed il finale che lascia più domande che risposte, una seconda iterazione non sembra così irrealistica.
Conclusioni
Non siamo più vivi è una serie validissima, che riprende i vecchi stilemi del genere zombie e li fa propri, aggiungendo qualche tocco fresco che mira a smuovere i giovanissimi. Il ritmo della narrazione della prima parte tiene gli spettatori incollati allo schermo, grazie alla continua azione ed a quell’alone di mistero che viene a crearsi fin dal primo episodio.
I personaggi funzionano bene e, nonostante non brillano come individualità, riescono ad essere un gruppo efficace e ben strutturato. Il doppiaggio italiano non rende giustizia alla serie, visto che alcuni doppiatori hanno offerto una performance decisamente non all’altezza della situazione. Se volete apprezzare di più l’opera, guardatela in coreano con i sottotitoli.
Insomma, possiamo dire che Non siamo più vivi sia una serie da vedere per chi è appassionato del genere zombie, ma anche per chi non lo è. E’ uno show adatto a tutti, che cerca di ripercorrere le fortune di Squid Game, Hellbound e The Silent Sea, riuscendoci solo in parte.
VOTO: 7,5