Il Re Leone: l’importante passato dal quale non si può scappare
Simba torna a ruggire nelle sale cinematografiche del nuovo millennio chiamando a sé grandi curiosi e piccini entusiasmati
Dal 21 agosto 2019, nelle sale italiane, è sotto le luci della ribalta Il Re Leone, regia di Jon Favreau.
La rupe dei Re ed il suo branco riconquistano il cinema, chiamando a raccolta una duplice sfilza di spettatori. Abbiamo i nostalgici targati “1994”, che negli anni hanno idolatrato ogni contenuto del film d’animazione prossimo al trentennale, ed i nativi digitali che si affacciano alla trama per la prima volta, quasi indottrinati e costretti dai genitori stessi ad apprezzare la storia perché appartenenti proprio a quei nostalgici citati in precedenza.
Un’altissima impazienza e curiosità hanno accompagnato tutte le fasi di nascita e diffusione della pellicola.
Favreau ha deciso di dare un’impronta poco marcata di cambiamento rispetto a ciò a cui si è assistito nella versione animata. Forse la cautela diventa troppa nella lavorazione del prodotto finale, giustificata probabilmente dal fatto che non si vuole deludere il pubblico e non stravolgere l’aurea di “evergreen” che ruota attorno al film.
Le scene totalmente nuove sono pochissime, aggiunte con l’intento di dar una maggior concretezza alla storia. Quest’ultima però risultava molto più evanescente nel 1994 poiché più vicina alla struttura del racconto fiabesco, fatto di voli pindarici per i quali non serve dare spiegazioni.
Le tecnologie di animazione sempre più sofisticate sono le protagoniste assolute del film. Queste catturano l’occhio di chi guarda generando l’illusione di assistere a scene di vita reale catturate in una vera riserva africana. Ogni animale è presentato fedelmente secondo le sue caratteristiche naturali. Dalle movenze alle espressioni facciali, per ogni personaggio sfuma quasi del tutto il carattere umano che contraddistingueva quelli del ‘94 per riacquisire la propria vera natura, quella cruda e viscerale della Savana.
Anche le scene musicate si presentano più sobrie e meno “hollywoodiane”, con una particolare accuratezza negli sfondi che risultano più spenti di colore poiché elaborati su reali scenari naturali.
Emblema di tutto ciò è la sequenza in cui Rafiki scopre che Simba è ancora vivo. Nel film d’animazione la rivelazione è molto “poetica” poiché Simba, sedutosi sull’erba, fa alzare un misto di polvere e peli che il vento trasporta dolcemente a Rafiki. Nella versione 2019 invece Simba perde lo stesso ciuffo di peli ma questa volta intraprende un lungo viaggio che mostra la quotidianità della fauna africana.
Anche la colonna sonora non si scosta da ciò che fu nel ’94 poiché “squadra che vince non si cambia”. Il nome di Hans Zimmer rassicura tutti poiché garanzia di ottima qualità. Presente sia prima che dopo, il compositore tedesco ripresenta i suoi lavori in maniera magistrale aggiungendo tocchi di modernità nei cameo e nelle linee melodiche principali.
Paradossalmente, se la grafica e i personaggi tornano all’ovile della realtà, la colonna sonora si umanizza rispetto al film d’animazione. L’aggiunta di cori più forti alla salita della Rupe dei Re di Simba oppure la scelta di utilizzare una vera e propria canzone nella sequenza in cui Simba corre nel deserto dopo aver avuto la spinta a ritornare, sono un occhio di riguardo per la nuova generazione di spettatori che è abituata alla crudezza delle immagini ma non a quella del suono.
Le canzoni, che fanno de Il Re Leone uno dei film più ricordati e amati della Disney, sono state tutelate e non sottoposte al vaglio di enormi cambiamenti. Nella versione italiana, Marco Mengoni ed Elisa sono i doppiatori dei protagonisti e prestano la loro voce nel canto di Simba e Nala adulti.
Una scelta che, a parere di chi scrive, risulta poco appropriata in determinati punti. Soprattutto nel duetto de “L’amore è nell’aria stasera” (“Can you feel the love tonight” di Elton John) E’ piacevolissimo ascoltare il dolce scambio di battute iniziale tra i due ma tutto scade nell’artificioso quando irrompono vocalizzi molto grintosi di stampo soul, che stonano con l’atmosfera di calma ed armonia che la canzone vuole evocare.
Il doppiaggio italiano risulta essere abbastanza deludente, soprattutto per chi è abituato ad accostare Mufasa a Vittorio Gassman, Timon a Tonino Accolla e Zazu a Roberto Del Giudice. Nomi che fanno “tremar le vene e i polsi” e dei quali si sente la mancanza per tutta la pellicola. Alcuni doppiaggi risultano davvero cacofonici con i personaggi ai quali sono stati affidati, come per Zazu e la iena Shenzi. Si difende bene Luca Ward che dona a Mufasa una maggior giovinezza e minor rigidità rispetto al passato. I dialoghi sono pressoché gli stessi con qualche lieve aggiunta di battute che i nostalgici subito riusciranno a discriminare.
Il Trailer Ufficiale
Insomma, Il Re Leone di Favreau è una sottomissione al colosso del ’94, un modello da seguire fedelmente e non ispirazione sul quale creare qualcosa di nuovo. I neofiti del film sicuramente rimarranno colpiti dalla bellezza grafica e dalla storia traumatica. I nostalgici si dovranno abituare a qualcosa che non è totalmente nuovo ma che apporta cambiamenti non facilmente digeribili, soprattutto per i puristi.
Che al posto di un “the end” ci sia un “to be continued”?
Di questo non si è certi poiché non trapela nessuna notizia al riguardo.L’alone di mistero potrebbe far ampliare ancora di più un pubblico già esorbitante come quello de Il Re Leone. Quello su cui si può assolutamente contare è che la storia di Simba ed affini è capace, a distanza di 25 anni, di chiamare a raccolta un’intera generazione perché si sa: una storia diventa eterna quando si continua a tramandarla nel tempo.