13 Reasons Why: Macabro spettacolo o sfacciata verità?
Dopo 3 stagioni sul filo del rasoio, calano le luci su una delle serie più discusse e controverse di casa Netflix. Per la sua natura molto schietta e senza veli, squarcio di una ormai solita realtà, si parla di “13 Reason Why“.
Nato come romanzo dalla penna di Joy Asher, diviene materiale fertile per Brian Yorkey, distribuito da Netflix. Tutto ruota attorno alla figura dell’adolescente Hannah Baker (Katherine Langford) e la sua controversa storia di suicidio.
La ragazza escogita un ambiguo rituale per svelare cosa l’ha portata a compiere l’estremo gesto: registra 13 audio-cassette da far ascoltare a 13 persone distinte le quali hanno contribuito, secondo ella stessa, alla trista decisione. Il delegato a far ciò è Tony Padilla (Christian Navarro), un amico che eredita la raccolta, unico estraneo al contenuto delle registrazioni.
Con l’infittirsi della trama, si genera un “Butterfly Effect“, un vortice di situazioni concomitanti che portano ognuno degli interessati a vivere delle esperienze psicotraumatiche.
I 13 perché:
Primo fra questi Justin Foley (Brandon Flyn) accusato di aver mostrato una foto di lei in mutandine poi diffusa a tutta la scuola. La Seconda è Jessica Davis (Alisha Boe), amica colpevole di averla abbandonata per un fidanzato. Il terzo è Alex Standall (Miles Heizer) avente la colpa di aver diffuso una lista di nomi nella quale Hannah era annoverata per avere il lato B più bello. Il quarto è Tyler Down (Devin Druid) accusato di essere uno stalker e di averle scattato una foto osé. La quinta è Courtney Crimsen (Michele Selene Ang) accusata di aver diffuso la voce che è una ragazza facile.
Il sesto è Marcus Cole (Steven Silver) macchiatosi di averla molestata. Il settimo corrisponde a Zach Dempsey (Ross Butler) ragazzo con cui condivide dei bellissimi momenti ma nel momento in cui sente di essere rifiutato, si vendica di Hannah rubandole dei biglietti di conforto destinati a lei per un’iniziativa scolastica. Senza nessun messaggio, la ragazza si ritrova sola e la sua autostima viene annientata.
L’ottavo è Ryan Shaver (Tommy Dorfman), ragazzo colpevole di aver pubblicato una poesia di Hannah molto intima a sua insaputa, redendola oggetto di scherno. Il nono è di nuovo Justin, lo stesso ragazzo della cassetta 1, Foley non interviene mentre Bryce Walker sfrutta l’incoscienza di Jessica, ubriaca a una festa, per approfittarsi di lei. La decima è Sheri Holland (Ajiona Alexus), compagna che, ubriaca, abbandona Hannah per strada dopo aver fatto un incidente. La sua negligenza ne causerà un altro, in cui perderà la vita un ragazzo di nome Jeff.
L’undicesimo è Clay Jensen, il protagonista della nostra storia. La sua “colpa” è quella di non essere riuscito ad amarla abbastanza. Anche se in realtà lo ha inserito per rivelargli i reali motivi del suo folle gesto. Il dodicesimo è Bryce Walker (Justin Prentice), lo stesso ragazzo che aveva approfittato di Jessica stessa sorte, che purtroppo, è toccata anche alla nostra protagonista. E l’ultimo è Mr. Porter (Derek Luke) l’unico a conoscere il forte disagio di Hannah il cui unico consiglio che è capace di dare è quello di metterci una pietra sopra.
Quale significato?
Che sia un monito degli autori alle giovani generazioni, bombardate sempre più da oscure pratiche come il cyberbullismo e il “web-suicide”? Oppure una pericolosa istigazione a compiere determinate azioni? Sembra che ci sia una propensione più per la prima alternativa; difatti i produttori hanno fondato e promosso un movimento, omonimo alla serie, che vuole supportare genitori e ragazzi di tutto il mondo ad affrontare diverse problematiche della sfera adolescenziale.
Ma l’opinione pubblica è ormai avvezza a fenomeni lugubri come quello raccontato nella serie che, in maniera paradossale, aumentano vertiginosamente. I social sono culla di riti macabri come il noto “blue whale”, una sfilza di challenge che culmina con il suicidio live dell’utente.
Forse la realtà ha superato la fantasia: ad un occhio più attento, si può notare come i produttori della serie avrebbero creato una sorta di parallelismo tra gli step aberranti del fenomeno russo e le 13 cassette rivelatrici dell’insano gesto di Hannah. Un climax sempre più ansiogeno che culmina con una cascata di morte. Il comune denominatore é mettere in piazza, step by step, cosa accade ed il tutto é riservato ad una larga platea di spettatori che partecipa, anche solo guardando, alla inesorabile escalation, quasi come se le responsabilità venissero equamente distribuite.
Non vi è scampo: “13 Reasons Why” é plateale cronaca di un filo di morte che diventa sempre più fitto, quasi impossibile da districare. Ed è qui che il compito viene demandato agli spettatori della serie che si ritrovano a dover venire a capo di un enigma molto travagliato poiché prettamente psicologico. Sicuramente le riflessioni personali in merito risulteranno essere numerose ma una domanda sorge tra le tante: quanto di autentico rimane di una vita che si veste di “spettacolo”?