Come una famiglia. Quattro chiacchiere con il team Morning Stars
Il segreto per vincere una sfida? Essere un gruppo affiatato, coeso, come una famiglia per l’appunto. Radunati tutti assieme attorno ad un tavolo, l’atmosfera di casa si fa sentire. Di passaggio per un viaggio a Milano mi sono fermato a Bergamo, sede del team Morning Stars, e ho avuto l’occasione e l’onore di incontrare il team vincitore del girone B dei Contenders.
Al mio arrivo, la squadra nostrana battente bandiera stellata, è appena scesa per cenare e festeggiare la vittoria contro il team russo che poteva contendergli il titolo di imbattuta. I ragazzi ridono, scherzano, sono affabili anche con un tizio come me, sconosciuto ma con la stessa passione per i videogame.
Inizialmente mi sento un po’ a disagio, non sono mai stato in un palazzetto esport dove giocano player professionisti, ma loro mi invitano a salire al piano superiore, nel luogo dei loro allenamenti, come si fa a casa propria con un ospite. Incontro tutti, grandi giocatori europei e caster, ragazzi e ragazze con molto talento, e chiedo loro se hanno piacere di discutere di Overwatch, dei loro risultati e della loro carriera.
Edmondo “DragonEddy” Cerini e Federico “Nisa” Portolani, i due giocatori italiani del team, accettano di buon grado di rispondere alle mie domande.
Vi sareste mai aspettati un successo simile?
DragonEddy: No, assolutamente. Io ero un semplice giocatore occasionale che giocava “only for fun”. Mi divertivo, ma niente più. Pochi giorni prima del torneo [il Fight for Glory, 2017] un membro del team di un amico si è fatto male e io sono stato chiamato per sostituirlo. Non avevo aspettative, ho semplicemente fatto le mie partite. Lì sono stato notato dai giudici e ho avuto la fortuna di fare parte di tutti i roster successivi dei Morning Stars. Non mi aspettavo nemmeno tutto questo, di arrivare ai Contenders ed ora essere sulla vetta d’Europa.
Nisa: Come diceva Eddy, anch’io non mi aspettavo tutto questo, seppur i miei inizi siano stati completamente differenti. Ho calcato il palco competitivo fin da piccolo, quando a undici o dodici anni ho iniziato a giocare come pro player di Team Fortress 2. Per cinque anni sono stato nella scena e col tempo mi sono reso conto che forse avrei potuto fare di tutto ciò la mia professione. Dopo TF2 ho avuto però un momento in cui ho messo in dubbio la mia scelta e per poco ho rischiato di mollare tutto per cercare un lavoro più tradizionale. Quel che mi ha salvato è stata la chiamata di un amico, Link (ex membro della nazionale italiana di Overwatch) che mi ha fatto conoscere l’erede spirituale di TF2. Così ho ripreso in mano mouse e tastiera e mi sono messo a giocare con altri due amici, Nightslayer e SharPPP (entrambi sono stati membri dei MS e della nazionale); insieme siamo cresciuti e ci siamo fatti valere fino a qui. Ma, come dicevo, è stato un caso, perché inizialmente non pensavo nemmeno di comprare il gioco.
Ora che siete ai vertici d’Europa ci sono talent scout che vi stanno tenendo d’occhio?
D: si è la norma. Anche osservando la chat durante i game si scopre sempre il nome di qualche coach che segue e commenta le partite. Specialmente ora, dopo la fine della World Cup, si è visto come in Europa si giochi decisamente meglio il meta attuale. Si è capito che il livello di skill non differisce molto da quello americano, basti vedere il trionfo della Gran Bretagna sugli USA o come i finlandesi abbiano messo pressione alla Corea del Sud, mancando per un soffio la vittoria. Fino ad ora gli investimenti maggiori sono stati quelli statunitensi, per cui gli occhi erano puntati su squadre americane o sui loro team academy, ma qualcosa adesso sta cambiando. Si pensi alla franchigia di Parigi che presto potrebbe avere anch’essa un secondo team dove far crescere la sua rosa. Avere gli occhi puntati non influisce sulla nostra prestazione, anzi può essere uno stimolo in più.
Mi rivolgo a Nisa. Non hai avuto modo di scendere in campo nelle ultime partite. Come è stato il tuo ruolo di support dietro le quinte?
N: Cerco di dare consigli al team. Durante le scrim tengo d’occhio sempre la back line, i due support, per far notare con occhio esterno ai miei compagni dove stanno sbagliando. Purtroppo il meta attuale mi vede meno coinvolto nella parte attiva, ma le cose evolvono velocemente e cercherò di essere pronto nel momento del bisogno. Siamo una squadra e ci si aiuta sempre.
Secondo voi come evolverà il meta?
N: La goats è una formazione molto compatta e difficile da sfondare nonostante i vari nerf e le modifiche ai personaggi. A mio parere ci saranno delle piccole variazioni, ma non è ancora giunta la sua ora. Continueremo a vederla ancora per un po’.
D: Come dicevo prima, in Europa la goats continuerà ad essere utilizzata perché viene giocata ad un livello superiore. In America ho visto iniziare a giocare una formazione con Winston, D.va, Brigitte, Lucio, Zenyatta e un hitscan che solitamente è McCree. In questo scenario potrebbe inserirsi Ashe, ma la vedo ancora troppo situazionale e non preferibile ai personaggi della stessa categoria.
Negli sport tradizionali i giocatori del team rimangono gli stessi per molto tempo, qui è diverso, i roster sembrano subire spesso vari cambiamenti.
D: Sì, questo succede in tutte le leghe minori non regolamentate come la OW League. In quel caso la struttura e i contratti permettono una solidità maggiore che non è realistica a livello Contenders. Nella OWL, inoltre, il passaggio di player tra team avviene solo in un determinato periodo di off season. Nelle altre scene competitive non ci sono protezioni attorno al giocatore, che deve sempre dare il meglio di sé per poter contare su un contratto. Ciononostante quando si vive tutti assieme si viene a creare velocemente amicizia e fratellanza, anche quando il team vede cambiare i propri elementi. Nonostante le problematiche che si possono creare fuori dalle sessioni di gioco, come piccoli e normali bisticci tra coinquilini, quando si tratta di lavoro si rimane concentrati per mirare allo stesso obbiettivo. È questo che alla fine ci lega e ci rende più forti. Il team purtroppo può cambiare nel tempo ma l’esperienza che ci portiamo dietro ci permette di migliorare l’affinità con gli altri e fare subito gruppo.
Come vivete la vostra permanenza qui, lontano dalle vostre famiglie e dalle vostre ragazze?
D: Sono più problematiche le relazioni che sono cominciate prima che iniziasse la nostra carriera professionistica, dato il gran cambiamento a cui si va in contro, ma anche negli altri casi le nostre partner sanno fin dal principio cosa dovranno aspettarsi, specialmente per quanto riguarda il tempo libero che forzatamente è molto ridotto.
L’interesse mondiale verso il gioco sta crescendo, sta scemando o è stabile? Come percepite la cosa?
D: Il meta attuale è visivamente un po’ confusionario, dato che si cerca di stare tutti uniti, ed è per questo che a livello di streaming Overwatch è forse un po’ meno presente, con gli streamer che puntano a mostrare altro, ma per quanto riguarda i giocatori sono pochi quelli che abbandonano davvero il gioco. Le continue novità introdotte sono uno stimolo a continuare a divertirsi e quando anche noi giochiamo, dentro o fuori a qualche torneo, continuiamo a farlo con piacere senza stancarci. Nonostante le views altalenanti il gioco è comunque uno dei più importanti sia a livello professionistico che a livello dilettantistico “for fun”.
N: Il discorso che ha fatto Eddy è giusto ma bisogna specificare che la League è sempre guardata. L’ampliamento a venti squadre, con una europea in più, sarà sicuramente un’ulteriore spinta di interesse verso il campionato principe. Se gli streamer sono stanchi di dedicarsi solo ad Overwatch, questo non vale per il pubblico, che ormai è affezionato ai team e ai giocatori tanto da continuare a supportarli. Persino riviste sportive nazionali hanno iniziato a parlare di esport e ciò dimostra che l’interesse può solo che crescere.
Prima di lasciarvi andare vi chiedo come vi preparerete ai prossimi playoff.
N: Ora avremo qualche giorno di pausa durante le festività natalizie ma non abbandoniamo mai del tutto la postazione. Dal 3 gennaio poi ricominceremo a metterci sotto per arrivare pronti all’appuntamento Contenders.
D: La nostra routine è fatta di quattro ore giornaliere di scrim con altri team, due ore di VOD review, poi ciascuno di noi si getta in ranked. A volte entriamo nei server americani per confrontarci con un livello medio superiore.
N: Quello americano è un ecosistema molto più complesso proprio per la quantità di giocatori forti che si possono incontrare, considerando poi che anche i player coreani della League, per ovvie ragioni, si riversano nei server statunitensi.
Vi ringrazio moltissimo del tempo concessomi. Avete chiarito ai nostri lettori molti degli interrogativi che spesso tutti noi ci poniamo.
Saluto entrambi e torno a parlare con gli altri membri del team che si dimostrano egualmente disponibili a rispondere ai miei dubbi personali (che per ovvi motivi di spazio non posso qui riportare)
Prima di uscire mi imbatto in Fabiano “Grimmjow” Ferrara, che oltre ad essere uno dei caster ufficiali italiani aiuta il team registrando e analizzando i match. Anche lui mi conferma una cosa importante: il team è stato formato non con i migliori giocatori, tecnicamente parlando, ma con i migliori top player. PiPou, l’head coach dei Morning Stars, ha pescato dal mazzo persone di carattere che sanno far gruppo, giocano col team per il team, e accolgono ogni critica non come un’offesa ma come uno stimolo per migliorarsi. L’errore non lo si risolve da soli ma aiutati dai compagni.
Quel che ho capito alla fine di questa lunga serata, che più di un’intervista è parsa una chiacchierata tra amici, è che se si vuole riuscire in qualcosa che sia davvero importante, la partita della vita o un semplice match di Overwatch tra sconosciuti, bisogna evitare il litigio, non darsi la colpa l’un l’altro, non alzare la voce e lanciare mouse e tastiera contro il muro, ma essere uniti, affrontare le avversità assieme e correggere gli errori assieme. Quando qualche anno fa praticavo parkour il concetto era lo stesso: nessuno resta indietro. Qui l’ho ritrovato, ho ritrovato il senso di appartenenza che ti fa fare risultato, ho rivisto il cameratismo, la gioia di divertirsi e la forza del gruppo. L’allegria che porta a vincere.
Augurando a questo team la miglior fortuna, attendiamo con ansia i playoff, che si disputeranno tra l’8 e l’11 gennaio prossimi, per rivedere in azione i giocatori più forti del continente.
Tom Garland, 16/12/2018