Analisi sulla saga Overwatch London Calling
È ormai passata oltre una settimana dall’uscita della quinta ed ultima parte di London Calling, ed è giunto per noi il momento di analizzare questa piccola serie di Overwatch. È la prima volta nella storia del franchise che si affronta il formato “saga“, occupando non un volume autoconclusivo, bensì 5 a cadenza mensile.
Ma cosa ci ha dato London Calling nella lore? In quanto autore di una timeline di Overwatch, sento di dover esprimere un’analisi di quanto è stato articolato in questa saga, e tirare le somme sulla sua integrazione.
Esordio ed entusiasmo
Nel settembre 2020 London Calling esordì con la sfida Fumetto, usando come figura centrale Lena Oxton “Tracer“, nonché personaggio-mascotte del gioco. Con una community in pieno fermento per le avventure di Overwatch 2 (le cui informazioni sono molto abbottonate) il fumetto riprende la vita della ex-agente della Task Force a Londra.
Il contesto è quello conosciuto nel fumetto Riflessi: una vita di piccoli gesti eroici, ritornare a casa dove l’attende la compagna di vita (Emily) e mettere in carica l’acceleratore temporale (qui delle curiosità sul funzionamento del dispositivo).
Tuttavia vi è un’aggiunta al contesto sociale di Londra, la città che i videogiocatori possono esplorare con la mappa ibrida King’s Row. Viene introdotta la vita degli androidi nei Bassifondi, un breve background agli avvenimenti più noti (Evento Rivolta) e un setting temporale dei primi cortometraggi di Overwatch, come Viva o Rinascita.
Dati i presupposti e lo stile artistico molto espressivo quanto “fresco”, i presupposti erano una serie che metteva ordine negli avvenimenti più noti di Overwatch, come già accade in altri contenuti. Pensiamo a Bastet che definisce la storia di Ana Amari, o il libro L’eroe di Numbani per Orisa.
Riepilogo narrativo
Il contesto sociale proposto viene affrontato per lo più dal punto di vista degli Omnic, di cui non mancano gli screzi interni. Questi ultimi sono alimentati dal leader dei bassifondi Kace, che rifiuta animatamente di avere contatti con gli esseri umani. L’obiettivo di Tracer è dunque quello di aiutare la comunità omnic, ma non sembra un’impresa facile.
Durante il terzo volume, l’attenzione si sposta sul sedare le rivolte fra umani ed omnic, indignati per la morte del leader spirituale Mondatta, e con una Tracer colma di risentimenti. Qui vediamo continuamente la percezione della donna sul suo ruolo di eroe, fatto non solo di battutine frizzanti o scatti veloci, ma anche di responsabilità. Beh, si, un aspetto piuttosto analogo a quanto si vede nel cortometraggio di D.VA o in Onore e Gloria.
L’ultima parte si focalizza sul risolvere il complotto di Kace, che dissemina la paura fra gli omnic affinché vengano spronati ad attaccare gli umani. E con un acceleratore temporale mezzo rotto ed una corsa per salvare i bassifondi, la saga si conclude con l’inizio delle avventure di Tracer e Winston, in attesa dell’arrivo degli altri agenti richiamati.
Alla scoperta degli Omnic
Tema centrale della saga sono proprio gli omnic, bistrattati dalla società londinese facendoli rifugiare nei bassifondi. Viene inoltre definito un problema correlato alla rete, un grosso agglomerato tecnologico che alimenta i sistemi degli omnic. Ciò che forse colpisce maggiormente non è tanto il citare nuovamente “l’iride” tanto declamata da Zenyatta nel gioco, quanto più lo spirito di sopravvivenza degli omnic nei loro simili.
Dai funerali di una omnic è possibile vedere tra le righe diversi dettagli su quella che è stata l’origine di questi androidi: sono nati durante la guerra? Non vengono più prodotti altri modelli? Hanno paura di disattivarsi uno per uno fino alla fine come un lotto di cellulari? Per chi come me non è nuovo della narrativa di Blizzard, questo mi ha ricordato la filosofia dei Protoss di StarCraft, dove la perdita di un compagno segna un indebolimento dell’unità condivisa.
La saga introduce Iggy, un personaggio dal concept design che non dispiace, e che ha sollevato delle speculazioni sulla sua presenza negli eroi giocabili in futuro. La sua peculiarità è la passione della musica, con dei riferimenti ben precisi sui gusti musicali d’epoca (e qui mi domando: quindi robe come Lady Gaga non sono considerabili “vintage” nei 60 anni nel futuro di Overwatch? LOL!).
Il suo personaggio è particolarmente sensibile, forse molto più umana di qualunque altro omnic mai visto in Overwatch, includendogli sentimenti complessi come la rabbia per la perdita del proprio leader o la profonda malinconia per un’amica perduta. Ma quella che sembra una contraddizione estrema tra un volume e l’altro in realtà sottolinea come la omnic si rispecchi nei sentimenti umani in maniera molto repentina.
Dalle stelle ai bassifondi
Se i primi volumi brillano di contestualizzazione nella situazione di King’s Row, gli ultimi iniziano a segnare dei problemi di storyboard, con scelte che ho trovato poco convincenti per l’evoluzione narrativa. Sulle prime si è portati a pensare che il problema sia l’impulsività di Iggy, che da un volume all’altro cambia opinione su Tracer. Ma rileggendo la saga ci si rende conto che la omnic effettivamente basa i propri pensieri su una perfetta sconosciuta che ha incontrato 2-3 volte al massimo.
Quello che invece non va a mio parere è il continuo proporre-risolvere i problmi, una cosa che avviene repentinamente, dando la sensazione di dire “ma allora perché ci hai dedicato tot vignette?” Faccio degli esempi veloci:
- Chi era l’omnic incappucciato? Subito si scopre essere Lizzy, senza alcun tipo di caratterizzazione notevole;
- Iggy scopre il complotto di Kace, ma allora perché tenere oscura la silhouette del falso cecchino per tutto il tempo e limitarsi a spiegare chi era con un testo? La potenza del fumetto dovrebbe essere nella rappresentazione visiva di ciò che accade sul momento;
- Iggy viene rapita, ma la tensione si spegne con un prevedibile scatto di Tracer pronta a salvarla;
Questo è l’epilogo?
Il quinto volume segna il più grosso problema dello storyboard dell’intera saga: il rendere Tracer una martire. Una scelta discutibile esporre i sentimenti della donna (giusti o sbagliati che siano) nel momento meno adatto. E la polizia degli esseri umani che stava per raggiungere i bassifondi? E la fuga di Kace in mezzo a tanti Omnic? Ma la rete? E soprattutto… che fine fa Iggy? Che fine hanno fatto questi dettagli quasi tutti protagonisti della storia proposta da London Calling? “Ma che, davvero?” è l’unica esclamazione che si può avere.
Nelle ultimissime pagine torna a sminuire il ruolo del fumetto: limitarsi a raccontare a parole senza mostrare nulla. E tra l’altro in maniera molto sbrigativa, giusto il tempo di rammentarci chi saranno gli avversari del futuro di Overwatch: il Settore Zero e Talon. Abbiamo steso un velo su che fine ha fatto Iggy o la polizia. E soprattutto, la potenza del richiamo di Winston la si può sentire solo all’epilogo. Questo rende quasi superflua la scena sbrigativa del primo contatto fra Tracer ed il Gorilla, quello che ha chiuso il cortometraggio Rinascita.
Conclusioni
London Calling è stato un interessante approccio narrativo dell’universo di Overwatch, un modo più costante per narrare le avventure di un personaggio. Tutto sommato ci introduce meglio il pensiero degli Omnic civili anziché quelli monaci. Confido sul fatto che ci siano stati dei dettagli che non volessero definire ufficialmente prima di Overwatch 2, ma niente scuse per l’epilogo: London Calling fallisce nella chiusura.
Il caos che si è creato tra quello che volevano assolutamente narrare gli autori (ovvero ciò che pensa Tracer del suo ruolo) e quello che stava ormai accadendo è stato insostenibile . Ricordiamo che sono comunque 5 volumi quelli messi a disposizione per la scrittura, lasciandoci la fame di una conclusione più soddisfacente su King’s Row. Una storia riuscita a metà, insomma.
E voi cosa ne pensate di London Calling? Vi trovate d’accordo su questa analisi?