Taliyah, ecco la lore del nuovo campione di League of Legends!
Ecco la lore apparsa sul sito ufficiale di League of Legends, sicuramente un nuovo campione, che sembra legato/a a Yasuo!
”Quel potere ti è stato conferito per distruggere. Non vuoi sfruttarlo? Benissimo. Ti piomberà addosso come una roccia.”
Queste sono state le ultime parole che Taliyah ha sentito udire dal capitano dei noxiani prima di scivolare giù sotto l’acqua salmastra. Parole che continuano a tormentarla. Sono passati quattro giorni da quando ha iniziato la sua fuga ritrovandosi sulla spiaggia. Iniziò a correre; poi, quando non udì più il rumore delle ossa dei pastori di Ionia e dei soldati di Noxus frantumarsi, proseguì camminando. Seguì le alture delle montagne, guardando avanti senza neanche provare a girarsi verso quella carneficina che si era lasciata alle spalle. Nevicava ormai da due giorni, forse tre; non riesce a ricordare. Al mattino, passando davanti a un piccolo tempio disabitato, avvertì una sensazione di desolazione lungo la vallata. Il vento si faceva sempre più forte spazzando via le nuvole e mostrando un cielo limpido e sereno, di un blu così puro che le sembrò di essere nuovamente immersa nell’acqua. Conosceva bene quel cielo; da bambina, l’aveva visto avvolgere il deserto. Ma questa non è Shurima; qui l’aria non è così clemente.
Taliyah strinse le braccia attorno a sé, per rivivere il calore della sua casa: il suo mantello la proteggeva dalla neve, ma non dalla gelida aria. Era circondata da un senso di solitudine, che sentiva insinuarsi fino alle ossa. Al ricordo di essere così lontana dai suoi cari si lasciò cadere sulle ginocchia.
Infilò le mani nelle tasche, strofinando con le fredde punte delle dita delle vecchie pietre per provare un po’ di calore.
”Sono affamata. Ho solo bisogno di mangiare.” disse Taliyah tra sé e sé. ”Una lepre. Un piccolo uccello. Grande Tessitrice, prenderei anche un topo se ce ne fosse uno.”
Come se fosse stata ascoltata, a diversi passi da lei, sentì un leggero sgranocchiare tra la fresca neve. Un grigio esserino peloso, non più grande di un pugno di una mano, tirò fuori la testa da un cunicolo.
”Grazie!” sussurrò battendo i denti. ”Grazie. Grazie.”
L’animale guardava Taliyah con aria curiosa mentre lei estraeva dalla tasca una delle sue lisce pietre, facendola scivolare nella sua fionda. Di solito non lanciava pietre da seduta, ma se la Grande Tessitrice le aveva dato questo dono, non poteva farselo scappare.
L’animaletto continuava a fissarla mentre sistemava la piccola roccia nella toppa di pelle della fionda. Sentì un brivido di freddo irrigidirle il corpo e uno scossone al braccio. Sul punto di prendere velocità, lasciò cadere la pietra e starnutì.
La pietra rimbalzò sulla neve, e per poco mancò quella che sarebbe stata la sua cena. Taliyah fece un brusco movimento all’indietro, e per il pesante senso di frustrazione emise un urlo gutturale così forte da risuonare nel silenzio circostante. Fece un respiro profondo, il gelo le entrava in gola.
”Supponendo che tu sia simile ad un conigoi del deserto, non sarai l’unico di questa specie qui, ma ce ne saranno tanti altri.” disse rivolgendosi verso la tana dell’animale, con una certa aria di ottimismo e ribellione.
Alzò lo sguardo, qualcosa si muoveva lontano nella vallata. Seguì le orme tortuose lungo la neve e, attraverso una scarsa fila di pini, vide un uomo nel tempio e tirò il fiato. I suoi capelli selvaggi e neri si attorcigliavano nel vento mentre restava seduto a testa bassa. Stava dormendo, o forse meditando. Taliyah emise un sospiro di sollievo. Nessun noxiano che conoscesse si sarebbe fatto sorprendere in quel modo. Ricordò la ruvida superficie del tempio, quando con le mani sfiorava le estremità intagliate.
Uno scrocchio brusco risvegliò Taliyah da quel sogno a occhi aperti. Udì un rombo lontano avvicinarsi. Restò ferma, pronta a un terremoto che non arrivava; il rimbombo si faceva più forte, diventando uno stabile e terribile stridore di neve compatta su pietra. Taliyah si voltò in direzione della montagna e vide un muro di neve avanzare verso di lei.
Si mosse velocemente, ma non poteva fare nulla. Abbassò lo sguardo verso la roccia, guardando attraverso il ghiaccio e pensò al piccolo animale al sicuro nella sua tana. Si concentrò disperatamente, avvinghiando le ruvide estremità della roccia visibile. Una fila di colonne spesse spuntò dal terreno: il blocco di pietra le sfiorò la testa come se la violenta valanga le si schiantasse contro con un tonfo.
La neve avanzava velocemente sul pendio e si rovesciava come un’onda abbagliante nella vallata sottostante. Taliyah rimase a guardare mentre quel manto letale copriva la piccola valle, travolgendo il tempio.
Proprio come era arrivata, la valanga si fermò. Allo stesso modo, anche il vento si attenuò. Quell’improvviso silenzio la soffocava. L’uomo dai capelli neri selvaggi non era più lì, probabilmente travolto e sommerso da ghiaccio e rocce. Lei si era salvata, ma fu investita da una ripugnante consapevolezza che le tolse il fiato: non aveva semplicemente fatto del male a un ignaro innocente; lo aveva sepolto vivo.
”Grande Tessitrice.” implorò, ”Che cosa ho combinato?”
IITaliyah scelse velocemente la direzione da seguire sotto il pendio innevato, scivolando e tuffandosi. Non era fuggita dagli invasori di Noxus per uccidere per errore il primo uomo di Ionia che le fosse passato davanti.
”E conoscendo la mia fortuna, probabilmente era un asceta!” disse.
I pini nella vallata erano diventati miseri arbusti sottili, neanche la metà delle dimensioni originarie. Solo la punta del tempio interruppe l’avanzare della neve. Pezzi stracciati di bandiere di preghiera si attorcigliavano, mostrando quella che, lontano, era la fine della valle. Taliyah scrutò l’area, cercando di trovare qualche traccia dell’uomo che lei stessa aveva consegnato alla valanga. L’ultima volta in cui l’aveva visto, l’uomo era sotto la gronda del tempio. Forse l’aveva protetto.
Non appena s’incamminò verso il tempio, avvicinandosi agli alberi e allontanandosi dal luogo della valanga, vide due dita spuntare dalla superficie.
Un po’ a fatica, un po’ correndo, si avvicinò a quelle dita pallide. ”Ti prego, non morire. Ti prego, non morire. Ti supplico…”
Taliyah si poggiò delicatamente sulle ginocchia e iniziò a tirare via la neve. Scoprì quelle dita robuste come l’acciaio; allungò la mano e afferrò il polso dell’uomo, per quanto riuscisse. Batteva i denti, tremava fino a impedirle di sentire nell’uomo un solo segno di vita.
”Se non sei morto,” disse all’uomo sommerso dalla neve ”allora devi darmi una mano.”
Si guardò intorno; non c’era nessuno. Era sola, poteva contare solo su di lei.
Taliyah mollò le dita dell’uomo e si fece un po’ indietro. Distese i palmi intorpiditi delle mani sulla superficie nevosa e cercò di ricordare che aspetto avesse il suolo della piccola vallata prima della valanga. Pietre, ghiaia. I ricordi vagavano, fino a fondersi nella sua mente. Era scuro, di un grezzo grigio antracite punteggiato di bianco, come la barba dello zio Adnan.
Taliyah rimase fermamente concentrata sulla visione ed emerse dalle profondità del cumulo di neve. Lo strato di ghiaccio esplose di fronte a lei, seguito da una lastra granitica a forma di fiocco che reggeva una figura solitaria. La pietra improvvisamente duttile vibrò, come a chiederle indicazioni. Non conoscendo un posto sicuro in cui fermarsi, Taliyah spinse l’uomo verso i lunghi pini, sperando che quei grossi rami potessero proteggerlo.
Il fiocco di granito collassò, sprofondando nella neve con violenza, ma le sempreverdi braccia del pino riuscirono ad afferrare l’uomo, facendolo cadere delicatamente sulla neve.
”Se sei ancora vivo, non morire proprio ora!” disse Taliyah precipitandosi verso di lui. La luce del sole iniziava a calare dando spazio a grigie nuvole che si estendevano lungo la vallata. La neve era imminente. Al di là degli alberi, scorse l’ingresso a una piccola cava.
Taliyah si soffiò le mani per riscaldarle e smettere di tremare: si curvò verso l’uomo e allungò le braccia fino a toccargli una spalla. L’uomo emise un grugnito di dolore. Prima che Taliyah indietreggiasse, una breve brezza accompagnò un bagliore metallico. Sentì premere in gola l’affilata e gelida punta della spada dell’uomo.
”Non è ancora tempo di morire.” disse in un sussurro smorzato. Tossì, e roteò gli occhi. La spada affondò nella neve ma l’uomo non la mollò.
Taliyah sentì il primo fiocco di neve cadere sul suo viso screpolato dal freddo. ”A quanto pare, sei duro a morire.” disse. ”Potremo scoprirlo se verremo travolti da questa tempesta.”
Il respiro dell’uomo era debole, ma era ancora vivo. Taliyah gli afferrò un braccio e lo trascinò verso la piccola cava.
Il vento tornò a soffiare.
IIITaliyah si chinò per raccogliere una pietra tondeggiante, con colore e dimensioni simili a un gomitolo di lana grezza. Sentì un brivido e si voltò verso la cava; l’uomo esausto era ancora appoggiato alla parete con gli occhi chiusi. Si mise in bocca un pezzo di carne essiccata che aveva trovato nella borsa dell’uomo, con la speranza che la cosa non l’avrebbe infastidito se fosse rimasto in vita.
Tornò nel tepore della cava. I frammenti di roccia che aveva ammucchiato emettevano ancora un caldo luccichio tremolante. Si inginocchiò: non era sicura che il suo trucchetto di riscaldare le pietre che aveva in tasca avrebbe funzionato con dei sassi più grandi. La giovane shurimana chiuse gli occhi e si concentrò sull’ammasso di rocce. Ricordò il caldo rovente del sole del deserto; e il modo in cui quel tepore penetrasse nella terra durante la notte. Avvolta da quel calore arido, si rilassò, si slacciò il mantello e si sedette per modellare la pietra che aveva in mano. La girava, la avvolgeva e la premeva con il pensiero fino a incavarla come una ciotola. Soddisfatta, ritornò nella cava con la sua nuova creazione.
Sentì un lamento provenire dietro di lei. ”Come un passero che raccoglie le briciole.”
”Anche i passeri sentono la sete.” rispose, riempiendo la ciotola di neve fresca. Il vento gelido stormiva intorno a lei. Taliyah posò la pietra arrotondata sul cumulo di sassi roventi che aveva di fronte.
”Raccogli le pietre a mano? Sembra noioso per una che ha l’abilità di intrecciare rocce.”
Taliyah sentì un calore salirle sulle guance che non aveva nulla a che fare con il piccolo focolare di pietra.
”Non sei arrabbiato? Riguardo alla neve e alla…”
L’uomo sorrise per poi stringersi su un fianco brontolando. ”Dalle tue azioni capisco tutto ciò che devo capire.” Stringeva i denti quasi trattenendo un sorriso. ”Mi avresti potuto lasciare morire.”
”Sono stata io a metterti in pericolo, per un mio errore. Non potevo lasciarti sommerso dalla neve.”
”Ti ringrazio. Anche se avrei potuto farcela senza rotolare tra gli alberi.”
Taliyah fece una smorfia e aprì la bocca per dire qualcosa. L’uomo alzò una mano per interromperla. ”Non ti scusare.”
Con uno sforzo si tirò su, osservando attentamente Taliyah e l’ornamento che aveva sui capelli.
”Un passero di Shurima.” L’uomo chiuse gli occhi e si rilassò al calore del focolare. ”Sei molto lontano da casa, uccellino. Che cosa ti ha condotto in questa cava qui a Ionia?”
”Noxus.”
L’uomo inarcò un sopracciglio pur tenendo gli occhi chiusi.
”Dicevano che avrei riunito la gente di Noxus e che il mio potere avrebbe fortificato le sue mura. Ma loro vogliono soltanto che io porti distruzione.” La sua voce si fece più dura in segno di ripugnanza. ”Mi avevano detto che mi avrebbero istruita…”
”Hanno iniziato, ma non hanno finito.” disse senza alcuna emozione.
”Volevano che seppellissi un villaggio. E che uccidessi persone nelle loro stesse case.” Taliyah fece un sospiro e continuò: ”E io sono scappata, solo per far crollare una montagna su di te.”
L’uomo sollevò la sua spada e squadrò la lama da cima a fondo. Un breve soffio di vento levò via la polvere. ”Distruzione. Creazione. Non c’è niente che sia del tutto giusto o sbagliato. Non puoi avere una cosa senza l’altra. È il fine quello che conta, il motivo per il quale si sceglie un cammino. È l’unica scelta che ci è permesso di fare.”
Taliyah si alzò in piedi, irritata da quelle parole. ”La strada che devo seguire è lontana da questo luogo, lontana da tutti. Almeno finché non avrò imparato a controllare ciò che è dentro di me. Non mi fido di me stessa, potrei ferire la mia gente.”
”La fiducia di un uccello non sta nel ramo…”
Taliyah non stava più ascoltando. Era già nella bocca della cava; si rimise il mantello e lo allacciò fermamente. Il vento le fischiava nelle orecchie.
”Vado a cercare qualcosa da mangiare. Se tutto va bene, non farò crollare ciò che è rimasto della montagna.”
L’uomo si mise con le spalle rivolte al focolare, parlando a bassa voce. ”Sei sicura che sia la montagna che cerchi di conquistare, Passerotto?”
IVUn uccellino beccava su un esile pino nelle vicinanze. Taliyah sollevò della neve col piede, che le finì negli stivali. Cercò di levarla via con la mano, infastidita dalle parole dell’uomo e dal ghiaccio che le scivolava giù per la caviglia.
”Il motivo del cammino? Ho abbandonato la mia gente, la mia famiglia… per proteggerle da me stessa.”
Si interruppe, e calò un rigido silenzio. Non c’era traccia di selvaggina nelle vicinanze, sparita al rumore dei suoi passi. Non percependo alcun pericolo dalla ragazza, l’uccellino se ne stava sul suo ramo cinguettando mentre lei farneticava. Ma ora, non si sentiva neanche il canto degli uccelli.
Taliyah si alzò con cautela. La sua rabbia l’aveva allontanata fin troppo dalla cava. Si era avvicinata alle rocce e allontanata dal bosco, e aveva distrattamente seguito una costa non riparata finché non si ritrovò di fronte a una scogliera. Non credeva che l’uomo la stesse seguendo, ma avvertiva una presenza.
”Ancora lezioni?” chiese con indignazione.
In risposta, sentì un respiro che la fece rabbrividire.
Fece scivolare una mano nel mantello e con l’altra afferrò la fionda. Nella tasca fece rotolare tre pietre. Ne afferrò una, mentre la ghiaia rivelava il movimento del suo inseguitore.
Taliyah si voltò per affrontare la presenza alle sue spalle. Procedendo attentamente intorno alle rocce appuntite, vide un leone delle nevi di Ionia.
Pur stando su quattro robuste zampe, era più alto di lei. La bestia era lunga il doppio dell’altezza di Taliyah, con la robusta testa ricoperta di una criniera a pelo corto di un rossiccio chiaro. Il leone osservava la ragazza. Fece cadere dalle fauci due lepri appena uccise e si leccò il sangue rimasto su un canino più grande dell’avambraccio di Taliyah.
Solo un attimo prima era elettrizzata dalla vista della scogliera, ora era intrappolata lì. Se avesse iniziato a correre, sarebbe stata inseguita e raggiunta in un lampo. Deglutì, come per mandare giù la paura che le stava salendo in gola. Mise una pietra nella sua fionda e iniziò a ruotarla.
”Vai via di qui!” disse. Dalle sue parole non si percepiva neanche un minimo del terrore che provava.
Il leone si avvicinò. La ragazza rilasciò la pietra, colpendo la bestia sulla criniera, che attutì il colpo. L’animale ruggì di rabbia, e Taliyah non riusciva a liberarsi da quel pesante eco che le risuonava nel torace; il suo cuore batteva forte, come se tentasse di fuggirle dal petto.
Mise un’altra pietra nella fionda.
”Avanti!” urlò, mostrandosi più coraggiosa. ”Ho detto via di qui!”
Taliyah fece volare l’altra pietra.
Il ruggito del predatore affamato si faceva più forte. L’uccello posato sul sottile pino percepì che quell’incontro non avrebbe portato a nulla di buono, così balzò dal ramo e spiccò il volo.
Sola, Taliyah mise la mano nella tasca per afferrare l’ultima pietra rimasta. Le sue mani tremavano dal freddo e dalla paura. La pietra scivolò dalle sue dita e colpì il suolo, rotolando via. Alzò lo sguardo: il leone avanzava verso di lei, scuotendo la testa tra le spalle robuste. La pietra da lanciare era troppo lontana.
Raccogli le pietre a mano? Le parole dell’uomo le risuonavano nella mente. Forse c’era un altro modo. Allungò le braccia verso la pietra con tutte le sue forze e la sua determinazione. Il sasso vibrò, ma anche la terra sotto di lei tremava.
Il grosso ramo vicino a lei continuava a oscillare sin da quando l’uccello aveva preso il volo. La fiducia di un uccello non sta nel ramo. Non c’era molto da fare: poteva anche stare lì, dubbiosa, a congelare, lasciando che la bestia le si scagliasse contro, oppure usare tutto il suo potere e fare un salto.
Taliyah, una ragazza nata in una terra deserta lontanissima dalle coste nevose di Ionia, restò a fissare il ramo vuoto. In quel momento, dimenticò la morte imminente che l’attendeva. Quel senso di solitudine che la invadeva svanì, dando il posto alla sua ultima danza nel deserto. Si sentiva circondata dalla sua intera tribù, da sua madre e da suo padre, Babajan. Ricordò la tacita promessa fatta di ritornare da loro quando avrebbe finalmente ottenuto il controllo del suo dono.
Incrociò lo sguardo della bestia. ”Ho rinunciato a troppo per permetterti di fermarmi ora.”
La pietra iniziava a deformarsi trasformandosi fluidamente in una scia fluente. Si strinse al calore di quell’ultimo abbraccio e balzò.
Si sviluppò un boato, più forte del ruggito della bestia. Il leone tentò di indietreggiare, ma era già troppo tardi. Il suolo si spaccò sotto le sue robuste zampe in un canale vorticoso di ghiaia mentre la creatura cadeva giù dalla scogliera pericolante.
Per un attimo, Taliyah svolazzò su quel turbine di detriti. La roccia sotto di lei continuava a frantumarsi in migliaia di pezzi, non più abbastanza solidi per poterli dominare. Sapeva che non avrebbe potuto continuare a distruggere per sempre. La ragazza iniziò a cadere; prima di salutare quel mondo di pietra che si stava sgretolando, fu sollevata da un forte vento. Delle dita robuste afferrarono il collare del suo mantello.
”Non pensavo che fossi seria quando dicevi di demolire la montagna, Passerotto.” Con un grugnito, l’uomo mise Taliyah su quell’ammasso di pietre. ”Ora capisco perché il tuo deserto è così piatto.”
La ragazza scoppiò a ridere. In realtà, era sollevata nel sentire quella voce altezzosa. Taliyah scrutò il lato della scogliera e si mise in piedi. Si levò di dosso la polvere, prese le lepri uccise dal leone e camminò allegramente verso la piccola cava.
VTaliyah se ne stava seduta e, mordendosi il labbro inferiore, si guardava intorno alla locanda saltando contenta ed euforica. Era tardi e i tavoli in legno tutt’intorno erano occupati. Era passato tanto tempo dall’ultima volta in cui era circondata da persone. Guardò il suo serioso compagno, che aveva insistito si sedessero in quell’angolo buio. L’uomo, che adesso era diventato il suo maestro, non era mai molto di compagnia. Con quello sguardo severo che aveva sin da quando aveva accettato di pasteggiare presso quella remota locanda, se ne stava in disparte.
Quando capì che era uno straniero come tutti gli altri presenti, si rilassò un po’ e si mise in un posto più appartato, con le spalle poggiate al muro e un bicchiere in mano. Ora che non era più assente, la sua concentrazione e i suoi occhi vigili tornarono sulla ragazza.
”Devi concentrarti.” le disse. ”Non puoi essere titubante.”
Taliyah osservava le foglie che galleggiavano sul fondo della sua tazza. La lezione del giorno era stata particolarmente difficile; non era andata bene. Alla fine, erano entrambi finiti ricoperti di polvere e detriti rocciosi.
”Il pericolo arriva quando non concentri la tua attenzione su un solo punto.” disse l’uomo.
”Potrei far del male a qualcuno.” disse la ragazza, guardando un nuovo strappo sul mantello dell’uomo all’altezza del collo. I suoi abiti non se l’erano cavata meglio, comunque. Abbassò lo sguardo, verso il suo nuovo soprabito e la veste da viaggio. La moglie del locandiere si era impietosita e le offrì quello che aveva a disposizione: degli abiti lasciati lì dal gestore precedente. Ci voleva un po’ per abituarsi alle lunghe maniche proprie dello stile di Ionia, ma quel tessuto era solido e ben rifinito. Aveva tenuto la sua semplice tunica, ingiallita dal troppo uso, decisa a non rinunciare a quell’ultimo ricordo di casa che le era rimasto.
”Le cose distrutte possono sempre essere aggiustate. Il controllo viene con la pratica, e tu sai di essere capace di fare tanto. Ricorda, sei migliorata.”
”E… e se fallisco?” chiese la ragazza.
L’uomo deviò lo sguardo, distratto dal rumore della porta della locanda aprirsi violentemente. Entrarono un paio di mercanti, provenienti dalla strada polverosa. Il locandiere indicò loro i tavoli liberi vicini a Taliyah e all’uomo. Il primo avanzò verso di loro, mentre il secondo aspettò il suo bicchiere.
”Tutti falliscono.” disse il compagno di Taliyah. Un breve senso di frustrazione segnò il volto dell’uomo, annullando tutta quella risolutezza dimostrata fino a quel momento. ”Il fallimento non è altro che un attimo. Vai avanti, e sarà tutto passato.”
Uno dei mercanti prese posto a un tavolo vicino e iniziò a osservare Taliyah da capo a piedi, dalla tunica color lilla al luccichio dorato e la pietra nei suoi capelli.
”Viene da Shurima, ragazza?”
Taliyah cercò in tutti i modi di ignorare il mercante, il quale colse lo sguardo protettivo dell’amico della ragazza e scoppiò a ridere.
”Una volta, sarebbe stata cosa rara.” disse.
La ragazza teneva lo sguardo fisso sulle sue mani.
”Ma, ora che la città perduta del vostro popolo è risorta, è un po’ più comune.”
Taliyah alzò lo sguardo. ”Come?”
”Parole piene di verità, proprio come un fiume che scorre in senso contrario.” Il mercante fece un gesto in alto con la mano, schernendo i misteri di un popolo lontano e, a suo dire, ingenuo. ”Tutto perché il tuo dio volatile è tornato dalla tomba.”
”Qualsiasi cosa sia, non fa differenza. È una minaccia per il commercio.” Arrivò il secondo mercante. ”Si dice che voglia riunire il suo popolo. Sente la mancanza dei suoi schiavi…”
”È un bene che tu sia qui e non lì, ragazza.” aggiunse il primo mercante.
Il secondo distolse lo sguardo dal suo boccale di birra e improvvisamente notò il compagno di Taliyah. ”Hai un viso familiare.” disse. ”Ti ho già visto.”
La porta della locanda si aprì di nuovo. Entrò un gruppo di guardie, esaminando attentamente la stanza. L’uomo al centro, sicuramente una specie di capitano, notò la ragazza e il suo amico. Taliyah riusciva ad avvertire un’aria di silenziosa agitazione, mentre le guardie si voltarono e si diressero verso l’uscita. Anche i mercanti si alzarono e se ne andarono.
Dagli sgabelli vuoti, il capitano diede un’occhiata verso di loro e avvistò una lunga spada.
”Assassino!”, disse.
VI”Quindi, è qui che ti stavi nascondendo.” disse il capitano. ”Fatti un sorso. Sarà l’ultimo.”
Taliyah era in piedi, quando sentì il rumore dell’acciaio proprio accanto a lei. Si guardò intorno, e vide il suo maestro guardare le guardie dritto negli occhi.
”Quest’uomo, Yasuo” – sbraitò il capitano – ”è colpevole di aver assassinato un Anziano del villaggio. Per questo crimine, sarà condannato a morte. Deve sparire.”
Una delle guardie gli puntò contro una balestra carica; un altro incoccò una freccia in un arco lungo quanto la ragazza.
”Uccidermi?” disse Yasuo. ”Provaci.”
”Fermati!” gridò Taliyah. Ma già prima che finisse la parola, sentì lo schiocco e il rumore risuonante del rilascio dell’arco. Un attimo dopo, si sollevò nella stanza una raffica turbinosa. Una spirale che proveniva dall’uomo dietro di lei colpì i bicchieri e i piatti abbandonati sui tavoli raggiungendo le frecce e frantumandole al passaggio. I pezzi caddero sul suolo, producendo un rumore sordo.
Arrivarono più guardie, con le spade già sguainate. Taliyah iniziò a distendere un campo di pietre taglienti, scagliandole contro il suolo e creando una violenta esplosione per tenere gli uomini a distanza.
Yasuo passò velocemente tra la folla di soldati intrappolati nella stanza. Gli uomini impugnarono le loro armi, provando sventatamente di proteggersi dalla tempesta di lame luminose. Era troppo tardi. La lama di Yasuo li trapassava, lasciando in un vortice strisce letali color rosso. Alla fine, quando tutti gli uomini che erano venuti per lui erano ormai senza vita, Yasuo si fermò, con il respiro affannato e pieno di rabbia. Incrociò lo sguardo con quello della ragazza, preparandosi a parlare.
Taliyah gli fece cenno con la mano in segno di avvertimento. Alle sue spalle, il capitano era in piedi, con uno sguardo folle e un sorriso perfido. Impugnò la sua spada con entrambe le mani per avere una presa ferma sull’impugnatura insanguinata.
”Allontanati da lui!” Taliyah si mosse sul pavimento selciato della locanda, mentre le pietre lisce si ergevano, sollevando il capitano.
Mentre il corpo del capitano veniva fatto balzare in aria, Yasuo gli si avvicinò e gli squarciò il petto con la fredda lama in tre rapidi colpi. Il corpo cadde sul suolo, immobile.
Si sentivano delle urla provenire dall’esterno. ”Dobbiamo andarcene. Ora!” disse Yasuo guardando la ragazza. ”Puoi farcela. Non esitare.”
Taliyah annuì. Il terreno emetteva dei rombi, scuotendo le pareti finché il tetto di paglia non iniziò a vibrare. La ragazza provò a trattenere il suo potere che sentiva crescere da sotto il pavimento della locanda. Ebbe una visione: sua madre, che ricuciva l’orlo di una veste canticchiando, i punti che le sfuggivano di mano, e le dita in continuo movimento.
La roccia sotto la locanda esplose in grandi archi arrotondati; sul pavimento si innalzavano colonne di pietre come onde. Taliyah sentì la terra rialzarsi, portandola fuori sotto il cielo della notte, seguita da quel vento furioso che era Yasuo.
VIIYasuo voltò lo sguardo verso la lontana locanda. Gli archi di pietra bloccavano il percorso impedendo eventuali avvicinamenti. In questo modo avevano potuto guadagnare tempo, ma presto sarebbe giunta l’alba, e con essa altri uomini. A cercare lui.
”Ti conoscevano.” disse Taliyah con voce dimessa. ”Yasuo.” E trattenne l’ultima parola.
”Dobbiamo proseguire.”
”Quelli ti vogliono morto.”
Yasuo emise un sospiro. ”Sono in tanti a volermi morto.” disse. ”E ora vorranno morta anche te. Se può cambiare le cose, mi accusano di un crimine che non ho commesso.”
”Lo so.”
Yasuo, non era il nome che le aveva detto durante il viaggio, ma non importava. Per tutto quel tempo, la ragazza non gli aveva fatto domande sul suo passato. A dire il vero, non gli aveva chiesto niente, se non di farle da maestro. Guardò la sua guida, sembrava che la fiducia che lei provava fosse dolorosa per l’uomo. Forse più dolorosa di se avesse creduto che fosse colpevole. Yasuo si voltò e proseguì allontanandosi da lei.
”Dove stai andando? Shurima si trova a ovest.” La sua voce sembrava smarrita.
Yasuo non si voltò per risponderle. ”Il mio posto non è Shurima. E non è neanche il tuo. Non ancora.” Le sue parole erano fredde e pacate, come se si stesse preparando a una tempesta in arrivo.
”Hai sentito i mercanti? La città perduta è risorta.”
”Sono racconti creati per terrorizzare i commercianti e costringerli ad aumentare il prezzo del lino di Shurima.” disse l’uomo.
”E se sul deserto ci fosse un dio vivente? Non sai quello che significa. Rivendicherà ciò che ha perso. Il popolo che un tempo lo servì, le tribù…” Nella voce di Taliyah si avvertivano le emozioni di quella serata, le sue parole erano intense. Aveva viaggiato così a lungo per proteggerli e ora, proprio nel momento del bisogno, lei si trovava in un luogo lontano. Si allungò per poggiare una mano sul braccio dell’uomo, per farsi ascoltare, per attirare la sua attenzione.
”Ridurrà la mia famiglia in schiavitù.” Le sue parole riecheggiavano nella roccia circostante. ”Devo proteggerla. Non lo capisci?”
Si levò il vento, una raffica che agitò i sassolini sul terreno e spostò i capelli neri di Yasuo sul suo viso.
”Proteggere.” disse, con una voce quasi sussurrata. ”Non c’è la tua Grande Tessitrice a proteggerli?”, continuò digrignando i denti. L’uomo, il suo maestro, si voltò verso il suo studente solitario; i suoi occhi neri e tormentati erano pieni di rabbia, di una durezza che la spaventava. ”Il tuo allenamento non è finito. Se ritorni da loro, metterai a rischio la tua vita.”
La ragazza si fermò e lo guardò dritto in faccia.
”Loro meritano la mia stessa vita.”
Si sollevò un turbine di vento, ma la ragazza rimase immobile. Yasuo fece un lungo sospiro e guardò verso est. Un leggero bagliore iniziava a illuminare la notte buia. Il vento si calmò.
”Potresti venire con me.” propose la ragazza.
Il viso di Yasuo si fece più rilassato. ”Dicono che il vino del deserto sia molto buono.” disse. Una lieve brezza sollevò i capelli della ragazza, portando via quel momento e dando di nuovo spazio a un ricordo doloroso. ”Ma io non ho ancora finito a Ionia.”
Taliyah lo osservò attentamente; strappò un filo di lana intrecciato a mano della tunica e glielo offrì. L’uomo lo guardò con aria sospettosa.
”È un’usanza della mia terra, un gesto per dire grazie.” spiegò Taliyah. ”Offrire un pezzo di te per essere ricordato.”
L’uomo prese il filo delicatamente e lo usò per legarsi i capelli. Pensò attentamente alle ultime parole da dire.
”Procedi verso la prossima vallata dove scorre il fiume, e poi continua a seguire il fiume per raggiungere il mare.” disse, indicando un percorso selvaggio leggermente eroso. ”Lì troverai un pescatore, una donna. Dille che vuoi vedere il Freljord, e dalle questo.”
L’uomo prese un seme d’acero secco da una tasca di pelle attaccata alla cintura e glielo porse in mano.
”Nel Gelido Nord ci sono delle persone che si oppongono alle leggi di Noxus; con loro potresti trovare la via per raggiungere il tuo deserto.”
”Che cosa c’è in questo… Freljord?” chiese la ragazza, controllando le sue parole.
”Ghiaccio”, rispose. ”E pietre.”, aggiunse facendole l’occhiolino.
A quel punto la ragazza sorrise.
”Ti sposterai velocemente tra le montagne ai tuoi piedi. Usa il tuo potere. Creazione. Distruzione. Sfruttalo. Fino all’ultimo. Le tue ali ti hanno portata così lontano.” disse. ”Magari ti condurranno a casa.”
Taliyah fissava il percorso che portava alla vallata. Sperava che la sua tribù fosse al sicuro; forse il pericolo che temeva era solo una sua immaginazione. Che cosa penserebbe la sua gente se la vedesse ora? La riconoscerebbe? Babajan diceva: ”Non importa di che colore sia il filo, non importa quanto spessa o sottile fosse la trama mentre veniva realizzata; alla fine resterà sempre della lana, intatta come allo stato originario.” Taliyah ricordò, e si sentì confortata.
”Confido nel fatto che intreccerai il giusto equilibrio. Sii prudente, Passerotto.”
Taliyah si voltò per guardare il suo compagno, ma non era più lì. L’unica cosa rimasta di lui era l’erba che frusciava in quell’aria fresca del mattino.
”Sono sicura che la Grande Tessitrice ha un piano in serbo per te.” disse.
Taliyah ripose delicatamente il seme d’acero nella sua veste e si incamminò verso la vallata, mentre le pietre sotto i suoi stivali si sollevavano scalpitanti in segno di saluto.