Atrax si ritira dalla scena competitiva: è crisi per le multigaming italiane?
Negli scorsi giorni diverse notizie non confermate e tantissime voci di corridoio facevano intendere che il futuro del team Atrax era probabilmente davanti ad un fondamentale e storico bivio.
Durante la giornata di ieri, come un fulmine a ciel sereno, è stata poi pubblicata una notizia estremamente importante per la scena esportiva italiana: il team Atrax, uno tra i più celebri e conosciuti protagonisti della scena nazionale degli sport elettronici, annunciava il suo definitivo ritiro dal mondo competitivo riportando nuovamente la discussione sull’evidente stato di crisi che sta colpendo la maggioranza delle multigaming italiane.
Dal comunicato ufficiale pubblicato poche ore fa sul sito di Atrax.gg, si legge che parte della responsabilità relativa a questa situazione è da ricondurre a ragioni economiche: “[…] Purtroppo le buone idee ed i migliori propositi non bastano se non affiancati da risorse economiche consistenti da investire sul lunghissimo periodo, cosa che noi non siamo più in grado di sostenere autonomamente“.
Ancora una volta quindi, la mancata possibilità di investire ingenti quantità di denaro miete una nuova vittima (anche se in questo caso si tratta di una vittima eccezionale) ed a pagarne è tutta la scena competitiva italiana.
Quello di Atrax, specialmente perché conosciamo l’esperienza e le indiscusse capacità organizzative che hanno da sempre caratterizzato lo staff della multigaming guidato da Stefano Mattei, è e deve essere un preoccupante campanello d’allarme per l’intera scena della penisola.
In Italia il movimento esport si trova davanti ad un’anomalia molto pericolosa: la scena sta avanzando dal punto di vista competitivo con sempre più giocatori italiani coinvolti e protagonisti in competizioni internazionali ma, allo stesso tempo, sono molte le squadre esports che boccheggiano e cercano in tutti i modi di non permettere a delle deficienze economiche di compromettere il loro percorso.
Fare eports in Italia è complicatissimo. Ancor più complicato è fare esports mediante la gestione di una squadra competitiva perché in questa specifica costola del nostro amato mondo competitivo videoludico ancor più determinante è la differenza tra realtà data dalla loro “potenzialità economica” e non sempre un solido e programmato progetto può riuscire ad avere la meglio se non diligentemente accompagnata da un flusso continuo di capitali che tengano in vita tutti gli organi di una multigaming.
I “30” giocatori della spedizione italiana di Hearthstone al Dreamhack di Valencia, sommati ai giocatori che hanno partecipato al Dreamhack svedese ed a quello statunitense di inizio stagione sono un chiaro esempio di come la scena stia repentinamente cambiando e come in meno di un anno anche la sola partecipazione al DreamHack sia diventata da “premio massimo” per un giocatore (nel 2016 i partecipanti italiani ad un Dreamhack si contano sul palmo di una mano) a “minimo sindacale” per la prosecuzione di una collaborazione tra giocatore e squadra.
Questo fattore è indiscutibilmente positivo perché porta l’intero settore ad elevarsi ad un nuovo e più stimolante livello; ma ogni cambiamento “rapido” ha i suoi pro ed i suoi contro. In questo caso i fattori contrari sono da ricondurre al fatto che quasi la totalità delle multigaming italiane che erano attive nel 2016 e che sono attive nel 2017 non hanno visto aumentare il loro volume economico (ed anzi, in alcuni casi è anche drasticamente calato senza considerare le squadre che si sono invece addirittura definitivamente ritirate) andando a creare quindi un importante scompenso tra “quello che una multigaming deve fare per rimanere competitiva” e “quello che una multigaming guadagna per restare competitiva”.
Secondo molti esperti, questa è una situazione si anomala ma comunque risolvibile: è impossibile pensare che tutto resti immutato ed è altresì impossibile pensare che tutte le multigaming chiudano i battenti; secondo la più chiara logica di mercato c’è quindi da pensare che all’aumentare della competitività aumenterà anche la “possibilità” che ogni squadra avrà di investire. L’unico grande problema è il quando.
Da fine 2016, specialmente dopo l’ennesima grande previsione del “il 2017 sarà l’anno degli esports” (litania che sentiamo, discutiamo ed analizziamo tutti con grande speranza da almeno 4 anni), sono state tantissime le squadre che hanno chiuso i battenti e, molto probabilmente, non sarà purtroppo quello di Atrax l’ultimo comunicato ufficiale di questo tipo per l’anno in corso (senza considerare che soltanto poche settimane fa un mostro sacro come TES Gaming rendeva noto al mondo il suo ritiro mediante fusione con Next Gaming, ndr).
La grande speranza per la crescita del nostro amato mondo degli esports è che le multigaming ricevano immediatamente un supporto ulteriore e molto più determinato da parte di coloro i quali possono permettersi e siano interessati a degli investimenti.
Gli investimenti veri arriveranno però nel momento in cui i brand, anche quelli non endemici al mondo dei computer, troveranno maggiormente interessante la visibilità che una squadra può loro garantire.
La scena esportiva italiana ha quindi sicuramente bisogno di un importante cambio di passo. Il punto è: “questo adeguamento del rapporto tra entrate ed uscite potenziali di una realtà competitiva arriverà prima che la situazione generale rischi di scricchiolare in modo ancor più significativo”?